Igiaba Scego, giornalista e scrittrice nata in Italia da una famiglia di origini somale, risponde all'articolo di Daniela Padoan sugli scrittori che scrivono in italiano e non vincono premi letterari. L'esperienza della Scego è diversa, e l'articolo diventa spunto per attribuire le responsabilità anche ai media e alle case editrici
di Igiaba Scego, intervento nel dibattito sul “razzismo letterario”
Nel 2011 ho vinto un premio letterario: il premio Mondello.
Non me l’aspettavo. Naturalmente sono stata felice del premio. Onorata. Tra i premiati c’era anche il grande Javier Cercas, uno scrittore che stimo ed amo molto. Specifico che ho vinto il premio per la letteratura italiana. Ci tengo a sottolinearlo perché era la prima volta che una figlia di migranti vinceva il premio in questa categoria del Mondello. Dopo il premio (forse ingenuamente confesso) mi aspettavo una discussione sulle pagine culturali dei giornali. Speravo davvero che questa mia vittoria potesse essere usata come pretesto per parlare dei colleghi migranti e figli di migranti che non solo scrivono in italiano, ma danno lustro alla letteratura nazionale innervandola di nuovi temi e nuovi linguaggi. Invece c’è stato il solito silenzio assordante.
Purtroppo ho notato che di noi nei paginoni culturali dei giornali (ma lo stesso vale per i programmi TV) non si parla proprio. Chi ne parla lo fa spesso solo in termini folcloristici (anche se ci sono state eccezioni eccellenti a questa cattiva pratica). Perché, mi chiedo, interessiamo così poco a chi fa informazione culturale? Non siamo forse anche noi parte di questo paese? A quando la cittadinanza letteraria?
Qualcuno potrebbe obbiettare che ancora tra di noi non c’è una Zadie Smith o un Hanif Kureishi. Ma siamo proprio sicuri di questo? Forse probabilmente la Zadie italiana ci è passata sotto il naso e non ce ne siamo accorti. Io credo che sia andata proprio così. Lo penso ogni volta che mi capita tra le mani il libro di Cristina Ali Farah Madre Piccola. Un signor libro davvero! Poetico, complesso, coinvolgente. Un libro molto amato dagli addetti ai lavori, molto studiato nelle università estere (da Melbourne a New York) e dai gender studies. Ma sostanzialmente ignorato dalla stampa che conta qui in Italia. Poche recensioni per un libro che meritava ben altro trattamento.
Certo la stampa ha le sue colpe, ma non è la sola. Io aggiungerei tra i colpevoli anche le case editrici. Dopo un iniziale entusiasmo per le scrittrici e gli scrittori di origine migrante siamo passati ad una momento di totale recessione. Le vie sembrano sbarrate. Si pubblica poco e manca totalmente lo scouting. Anche in questo campo ci si affida a nomi considerati sicuri, ma si punta poco sulle giovani leve. Inoltre accade spesso che il libro anche se riesce a trovare una buona pubblicazione non venga appoggiato adeguatamente dall’editore. Non si punta su questo prodotto considerandolo erroneamente troppo di frontiera. Sono ancora le piccole e medie case editrici a fare la fortuna di una scrittrice o uno scrittore di origine migrante. Sono soprattutto loro a credere in un autore e a spingerlo. Basti pensare al rapporto che si è creato tra la E/O e Amara Lakhous, una relazione vincente in tutti i sensi.
In questo fosco panorama va segnalata però una nota positiva: le lettrici ed i lettori. Il pubblico di chi fruisce dei vari Kuruvilla, Farah, Wadja, Butcovan, Brahimi sta crescendo. Un pubblico multietnico e curioso. Un pubblico che interagisce direttamente con gli scrittori attraverso i social network e naviga sui siti specializzati.
Per una scrittrice, per uno scrittore, sono proprio loro il premio più bello.