Si chiede un lettore, in un suo commento al mio ultimo post, che cosa c’entri l’umiliazione del lavoro con la tragedia della Costa Concordia. In realtà c’entra e moltissimo. Non stupisce però che il lettore in questione non lo capisca. Non ho motivo per credere che si tratti di persona non dotata di comprendonio in misura almeno media. Il problema vero è che il suo commento esprime una cultura, o meglio assenza di cultura, abbastanza diffusa dopo tanti anni di lavaggio del cervello berlusconiano e di neoliberismo, che dà più di tante chiacchiere la vera misura dell’attuale naufragio della società italiana.
Torniamo alle origini. Non a caso i costituenti hanno voluto porre il lavoro al centro della nostra legge fondamentale. Affermare che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro non costituisce, come vorrebbero lorsignori, una formulazione di rito o un mero omaggio al “sudore della fronte”. Significa che il lavoro deve essere rispettato, consapevolmente e coscientemente. In Italia negli ultimi decenni, dopo la grande stagione di lotta dal 1968 al 1978, sta avvenendo esattamente l’opposto. Il lavoro è sempre più una merce, per giunta di poco pregio. I lavoratori vengono trasferiti e licenziati senza remore. E questo governo, fanatico della linea Marchionne, vorrebbe abolire anche le ultime garanzie, come l’art. 18. Se non si ottiene la resa dei lavoratori si delocalizza o si assumono persone provenienti dai Paesi poveri che si accontentano di poco. Nel contempo si approfondiscono le disparità e le diseguaglianze. Poche persone, non sempre di eccelsa intelligenza, vengono gonfiate di quattrini e lasciate sole al comando.
Tutto ciò si riproduce anche a bordo delle navi da crociera. Una forza-lavoro soggetta a ritmi massacranti e pagata in genere poco e con grandi differenze salariali.
L’eterogeneità e subalternità della forza di lavoro impiegata determina bassi livelli di sindacalizzazione e quindi di controllo sulle condizioni di lavoro e di sicurezza.
In un ambiente di questo tipo, profondamente malsano, maturano le premesse per la deresponsabilizzazione, da un lato, degli “schiavi” senza voce in capitolo e dall’altro di pochi privilegiati, come il comandante Schettino, chiamati a rendere conto solo a se stessi e tendenti a inebriarsi del potere che viene loro concesso. Le migliori premesse per tutte le catastrofi che ci aspettano. L’assenza e la violazione delle regole, anche di quelle più essenziali e di buon senso, derivano proprio da questo contesto estremamente iniquo e scarsamente partecipativo. Il necessario controllo sociale passa infatti, in tutti i settori, attraverso i lavoratori e le lavoratrici e le loro organizzazioni. Ed entra il più delle volte in diretto e insanabile contrasto con il movente del profitto. Sarebbe interessante, da quest’ultimo punto di vista, ricostruire il contenuto preciso delle telefonate intercorse tra Schettino e la compagnia dopo l’urto, quando ancora si voleva minimizzare a tutti i costi l’accaduto. Tutta colpa di Schettino? Staremo a vedere le risultanze delle indagini in corso…
Del resto, anche in altri settori i lavoratori vengono licenziati per aver osato esprimere posizioni e critiche su punti fondamentali che riguardano la sicurezza loro e dei passeggeri. Ricordate i casi di Dante De Angelis e Riccardo Antonini, ferrovieri licenziati per aver messo sotto accusa Trenitalia proprio dal punto di vista della sicurezza?
Ma più in generale, e qui il discorso si allarga a dismisura e si coglie la portata paradigmatica dell’evento, colpisce la cecità dei massimi responsabili politici, a livello nazionale, europeo e mondiale, di fronte alle tragedie che incombono sul piano ambientale, economico, finanziario, bellico, ecc. In fondo è secondario che restino sulla nave ad affondare con essa o la abbandonino, anche se ovviamente chi trasgredisce regole di questo genere va punito in modo esemplare. Il problema vero, però, è evitare di finire sugli scogli. Come ci insegna l’esperienza della Costa Concordia, l’unica speranza è nell’ammutinamento. Non la vigliacca fuga del comandante, beninteso, ma la ribellione dell’equipaggio lasciato a se stesso, che decide autonomamente il da farsi e così limita perlomeno le conseguenze del disastro. Ammutinarsi o perire! Finché si è in tempo…