La discussione sui salari dei parlamentari seguita alla pubblicazione del rapporto della ‘commissione Giovannini’ sui costi della politica è partita male ed è finita nel nulla. Proviamo a porci una domanda un po’ differente: non quanto, ma come è giusto pagare i parlamentari. La pratica consolidata a livello internazionale è di pagarli con un salario fisso. Ci sono almeno due ottime ragioni perché, in casi normali, sia così. Primo, è difficile definire cosa sia un ‘buon risultato’ per i parlamentari. Secondo, ammesso che sia possibile trovare variabili esattamente misurabili da cui far dipendere la remunerazione, è rischioso far dipendere la compensazione dai risultati perché si rischia che gli sforzi si concentrino sulle variabili più facilmente misurabili a scapito di altre meno esattamente misurabili, ma magari più importanti.
Per esempio, se si pagano gli insegnanti in base ai risultati raggiunti dai loro studenti in test standardizzati, si rischia che gli insegnanti dedichino troppo tempo a sviluppare capacità nozionistiche che permettono di ottenere buoni risultati nei test a scapito dell’abilità a pensare in modo innovativo e creativo. In presenza di compiti multipli e con differenti gradi di misurabilità è quindi consigliabile usare una compensazione fissa.
Pur essendo cosciente delle difficoltà che una compensazione basata sui risultati può generare, io credo che il momento sia sufficientemente eccezionale da consigliare una deviazione temporanea dalla regola del salario fisso. La mia proposta è che per i prossimi 5 anni i parlamentari vengano remunerati in funzione di due variabili: l’avanzo primario e il tasso di crescita del Pil. In particolare propongo un processo in due passi: 1) Se il bilancio pubblico non presenta un avanzo primario, la remunerazione dei parlamentari è zero. 2) Se il bilancio pubblico presenta un avanzo primario, la remunerazione dipende dalla differenza tra il tasso di crescita del Pil italiano e il tasso di crescita del Pil tedesco. Specificamente, la remunerazione (identica a quella attuale) viene pagata per intero se il Pil italiano cresce almeno quanto il Pil tedesco, e viene ridotta proporzionalmente altrimenti, fino ad azzerarsi quando il Pil italiano cresce molto meno del tedesco.
Quali sono i vantaggi di tale formula? È importante che il governo mantenga l’avanzo primario (ossia, le entrate devono essere superiori alle spese non per interessi). Una dipendenza esclusiva dal tasso di crescita del Pil può generare incentivi perversi, portando a politiche di aumento della spesa in deficit che generano effetti positivi di breve periodo, ma creano enormi problemi debitori nel medio e lungo periodo (tutti ricordiamo gli anni Ottanta). Anche una dipendenza esclusiva dall’equilibrio di bilancio può generare incentivi perversi, portando ad aumenti draconiani delle tasse che ammazzano la crescita. È quindi opportuno che entrambe le variabili entrino in gioco. La remunerazione non deve dipendere solo dalla crescita del Pil italiano, dato che essa è influenzato non solo dalle politiche domestiche, ma anche dal ciclo internazionale. Appunto per depurare gli effetti del ciclo internazionale è opportuno guardare alla differenza con un paese di riferimento. La formula può essere cambiata, ad esempio, prendendo la media dell’area euro anziché la Germania o altre simili combinazioni del genere. L’importante è che sia chiara e che il principio di base, ossia la dipendenza della remunerazione dal tasso di crescita italiano depurato degli effetti del ciclo internazionale, resti.
Anche se il bilancio pubblico è stato portato sotto controllo, principalmente grazie a una caterva di tasse, è ormai abbastanza chiaro che il Parlamento italiano è stato completamente incapace, e non da oggi, di affrontare il problema della crescita. C’è un problema di assenza di cultura economica tra i nostri parlamentari, ma c’è anche un problema di incentivi: per il parlamentare medio risulta essere políticamente più remunerativo difendere le corporazioni, che bloccano la crescita, piuttosto che puntare allo sviluppo economico. Rendere la compensazione dei parlamentari dipendente dalla crescita può quindi servire da bilanciamento, aumentando gli incentivi dei parlamentari ad approvare provvedimenti efficaci per la crescita.
Nel più lungo periodo, credo sia giusto tornare a remunerare i parlamentari come in tutti gli altri Paesi, ossia con un salario fisso. Ma per questa situazione emergenziale un periodo transitorio in cui i nostri parlamentari son pagati ‘a cottimo’ in base alla crescita del paese può fornire un notevole aiuto al miglioramento delle nostre decisioni in tema di politica economica.
Di Sandro Brusco, professore alla University of New York at Stony Brook
Il Fatto Quotidiano, 18 Gennaio 2012