Non possono essere più chiamati soccorsi. La speranza di trovare qualcuno in vita non la leggi negli occhi di nessuno. Le operazioni frenetiche di queste ore sono soprattutto di indagine: il procuratore della repubblica di Grosseto, Francesco Verusio, ha chiesto una serie di verifiche che servono a completare il quadro accusatorio. Vuole le conferme su quanto Francesco Schettino ha detto, a partire dalle operazioni che ha cercato di fare.

Il comandante della Concordia ha raccontato al pm di aver accostato lui la nave dove si trova adesso: falso, secondo i rilevamenti tecnici. La timoneria è orientata verso dritta, dunque verso il largo, così come era stata posizionata nella manovra per evitare lo scoglio. Dalle 21.42 dalla nave non è stata fatta nessuna manovra: la sala macchine si è subito riempita d’acqua, il blackout ha messo fuori uso tutta l’apparecchiatura elettronica, i generatori non sono entrati subito in funzione e, di conseguenza, come sostiene l’accusa, la nave è finita alla deriva in maniera autonoma, aiutata dal vento e dalle correnti. Oltre che da quello che può essere definito un grande miracolo: se la Costa Concordia avesse risposto agli ordini del timone sarebbe finita in mare aperto e lì sarebbe affondata, probabilmente senza lasciare le speranze a nessuno.

Ma in queste ore c’è qualcosa che il procuratore vuole accertare prima di ogni altra cosa: le eventuali comunicazioni tra Schettino e la compagnia Costa. Non risultano, in questo momento, bisogna ritrovare le telefonate oltre alle comunicazioni radio, ma gli inquirenti non si spiegano soprattutto la determinazione dell’equipaggio nel voler minimizzare, quando invece sapevano bene che stavano naufragando. Perché rispondere che “è solo un blackout”? Perché non lanciare il mayday immediatamente?

Così, su ordine del procuratore, gli uomini del Gis dei carabinieri, di stanza a Livorno, sono partiti per il Giglio e in grande segreto sono entrati alla ricerca degli apparecchi elettronici di bordo, ma anche dei computer personali del comandante, di eventuali altri telefoni cellulari, delle comunicazioni che potrebbero esserci state e delle quali nessuno fino a oggi parla.

“Schettino ha mentito su più punti”, continua a ripetere il procuratore. “Ha negato perfino l’esistenza dello scoglio sulle carte marittime. Una persona che, in maniera goffa, ma lucida, ha cercato fino all’ultimo di portare le indagini altrove”.

Intanto al Giglio regna un silenzio surreale. Le telecamere delle televisioni cercano parenti dei dispersi, ma non c’è più il via vai davanti agli obiettivi dei portavoce della capitaneria di porto e dei vigili del fuoco. Non c’è più ragione di intervistarli nella loro veste di soccorritori. Oggi parlare di soccorso è improprio. Non c’è nessuno da soccorrere perché le speranze di trovare vivo qualcuno su quell’albergo galleggiante, diventato una balena morente, sono ridotte a zero.

Un silenzio che si porta dietro i punti interrogativi. Le menzogne di Schettino, certo, ma anche il numero dei dispersi. Fino a oggi la lista continua a variare, anche se ora il numero si è stabilizzato sul numero 21. Di questi i membri dell’equipaggio sarebbero quattro, uno dei quali è un batterista che lavorava per la Costa, originario di Alberobello, Giuseppe Girolamo, non un marittimo. Poi c’è Russel Terence Rebello, addetto alla cucina ed Erika Soria Molina, cameriera.

Dalla lista mancano i marinai, quelli che a quell’ora probabilmente dormivano negli alloggi. Potrebbe essere che tutti si siano tratti in salvo, ma potrebbe anche essere – e il dubbio è della capitaneria di porto di Livorno nella veste di polizia giudiziaria – che le liste dei lavoratori non siano state aggiornate al momento della partenza. D’altronde, su precisa richiesta de ilfattoquotidiano.it, l’amministratore delegato di Costa, Giancarlo Foschi, non è riuscito a dare su questo punto una risposta.

Interrogativi, silenzio. Ma soprattutto attesa. Domani il vento di maestrale sarà molto forte, fino a raggiungere l’apice domenica e la paura più grande è che la nave si sposti e sprofondi fino a settanta metri. A quel punto questa brutta vicenda assumerebbe i contorni di tutta un’altra storia.

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