Mohamed Malih

Dopo gli articoli di Daniela Padoan e Igiaba Scego continua il confronto sul “razzismo letterario”. Oggi ospitiamo l’intervento pungente di Mohamed Malih, autore del blog Stracomunitari.

Mi sto appassionando anch’io alla saga degli scrittori migranti. Fossi uno scrittore migrante (più modestamente sono solo un aspirante tale) non farei tanto l’offeso e anzi mi considererei più che soddisfatto della fetta di mercato che sin qui siete riusciti a ritagliarvi.

Certo, non siamo nell’ambito delle grosse cifre ma in quello più angusto delle nicchie. Inutile però tergiversare: siete sulla scena letteraria italiana da più di un ventennio, e non siete riusciti ancora a sfondare. In tutti questi anni non siete stati capaci di piazzare anche voi nelle librerie un sicuro talento come Fabio Volo. Un po’ di umiltà, basta fare gli incompresi e piuttosto vedete di curare come si deve la vostra nicchia.

Ad esempio. Per meglio venire incontro alle esigenze dei lettori, distribuite direttamente i vostri libri nelle erboristerie, nelle parafarmacie, presso gli apicoltori, negli agriturismi, negli stand delle feste dell’unità, nelle librerie esoteriche e in tutte le botteghe della green economy. Magari anche presso le botteghe dell’equo e solidale.

Perché qualcosa mi dice che i consumatori della scrittura migrante sono anche i classici consumatori schifiltosi che si nutrono solo di cereali integrali, di frutta e verdura biologica, di fermenti lattici vivi; si spostano solo a piedi o al massimo per le lunghe distanze usano bici elettriche, ascoltano solo musica celtica, si dissetano unicamente con infusi a base di erbe medicamentose ed ovviamente sono ayurvedici. Inoltre vestono solo capi di lana vergine lavorata a mano da vedove (vergini anch’esse) di mitici sufi non sopravvissuti ai lunghi digiuni purificatori.

Questo per quanto riguarda le fasce giovani e medie di questo target di lettori. Mentre invece le signore un po’ più in là con gli anni, quelle che, per intenderci, si avvicinano alla scrittura migrante struggendosi di nostalgia per Lawrence d’Arabia e Rodolfo Valentino, possiamo tranquillamente immaginarcele mentre in vestaglia si aggirano per casa, con in mano il libro del loro autore preferito dal solito nome impronunciabile, sorseggiando una tisana fumante. Ovviamente si fanno molto prendere dalla trama, e solo con fatica se ne distaccano. Quando proprio devono farlo, posano il libro sul comodino accanto all’abat jour, a sua volta adagiato su un centrino ( sarà un caso, ma mi sono sembrati sempre un pò troppi i centrini nelle case degli appassionati alla scrittura migrante) giusto il tempo per andare a spegnere il forno, che ormai le mele sono ben cotte.

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