Ayub Sajid, direttore della Ong pakistana Organization for development and peace (Odp) non ha dubbi sull’identità degli uomini armati che a Multan, nel Punjab, ieri hanno rapito Giovanni Lo Porto e il suo collega olandese Bernd Johannes: “I due cooperanti sono stati sequestrati da militanti estremisti di lingua pashtun – ha detto Sajid all’agenzia di stampa cattolica Fides – Provengono dal Nord, dalla provincia di Khyber Pakhtunkhwan”. L’Odp ha il suo quartier generale proprio a Multan, e con l’Ong tedesca Welt Hunger Hilfe, per la quale lavorano i due cooperanti, ha condiviso molti progetti. Secondo Sajid, l’organizzazione tedesca aveva ricevuto minacce e “l’area di Qasim Bela è nota per essere una zona turbolenta e pericolosa. Vi sono diversi compound militari e noi operatori umanitari lavoriamo a stretto contatto con loro. Il fine può essere una richiesta di riscatto o una prova per mostrare al governo che sono in grado di compiere azioni importanti”.
La polizia pakistana per il momento è molto cauta e si limita a dire che le indagini vanno avanti. Il governatore del Punjab, Shahbaz Sharif ha assicurato che per i due rapiti viene fatto ogni sforzo possibile. Se l’ipotesi di Ayub Sajid fosse però confermata, per il governo guidato dal premier Yusuf Raza Gilani si tratta dell’ennesima grana nei rapporti con l’occidente, in un momento particolarmente delicato per la vita del suo governo. Il “Paese dei puri” infatti è dilaniato da uno scontro politico tra i vertici delle istituzioni e da un braccio di ferro tra il governo civile e i militari, con annesso ruolo dell’Isi (Inter-Services Intelligence), la potente intelligence. Lo scontro è triplice: c’è un braccio di ferro tra il premier Gilani e il presidente Asif Ali Zardari, suo alleato, opposti ai giudici della Corte suprema, che hanno riaperto i dossier di presunte tangenti pagate a Zardari e a sua moglie Benazir Bhutto nel 2003.
Dossier che Gilani avrebbe insabbiato evitando di chiedere alla Svizzera di avere i documenti probatori. Il secondo caso, invece, oppone sempre il duo Gilani-Zardari ai vertici dell’esercito e riguarda un memorandum segreto che il governo avrebbe fatto arrivare agli Stati Uniti a proposito della possibilità di un golpe in Pakistan, subito dopo l’uccisione di Osama Bin Laden, all’inizio di maggio 2011. Il cosiddetto “Memogate” è già costato il posto all’ambasciatore pakistano a Washington, uomo vicino a Gilani. Ciascuna delle due questioni potrebbe portare fino all’impeachment del presidente Zardari e/o alle dimissioni di Gilani. Secondo alcuni esperti dell’area, come Jason Burke, giornalista del britannico Guardian, tra militari e Corte suprema si è di fatto creata un’alleanza politica: ai primi conviene non usare il “tradizionale” golpe per asserire ancora una volta il proprio ruolo sulla scena politica; ai giudici serve invece una prova di forza vittoriosa contro quel ceto politico che viene considerato causa della corruzione endemica e della perennemente incompiuta costruzione nazionale.
In questo stato di fibrillazione, il Pakistan (200 milioni di abitanti e armi atomiche) è travagliato dalla costante insurrezione dei pashtun del nord ovest del Paese, con legami tribali e politici con i pashtun afgani, che assume di volta in volta i caratteri di jihad e di rivendicazione nazionale. Nel sud ovest, nella vasta regione del Belucistan, sono ripresi i sussulti di un separatismo identitario mai del tutto sopito. E, infine, c’è il difficilissimo rapporto con gli Stati Uniti. Passati gli anni del presidente (e prima generale golpista) Pervez Musharraf, appoggiato da George W. Bush, la Casa Bianca difficilmente potrebbe tollerare un nuovo golpe in un paese chiave sia per il futuro dell’Afghanistan sia più in generale per la stabilità dell’Asia.
I militari, da un lato – e non a torto – protestano costantemente per la debolezza del governo che consente continue “violazioni di sovranità” compiute dai droni che colpiscono le basi talebane e jihadiste nel nord-ovest; dall’altro ricevono ingenti finanziamenti da Washington e sanno che la problematica alleanza con gli Usa è la migliore garanzia contro eventuali tensioni con i fratelli-nemici indiani. Con i due cooperanti sequestrati ieri, sale a sei il numero degli occidentali nelle mani di gruppi pakistani – difficile dire se banditi comuni, terroristi o un mix tra le due cose . E se il Punjab era finora considerato un posto relativamente sicuro, il “colpo” contro Welt Hunger Hilfe mette nervosismo in tutto il mondo delle organizzazioni internazionali, presenti con migliaia di persone: un bersaglio facile per chi, tra i suoi molti nemici, ha interesse a far perdere anche l’ultimo lembo di credibilità internazionale a un governo forse corrotto e di certo non all’altezza della complessità della sfida.
di Joseph Zarlingo