“Nessuno potrà dire che ce la siamo presa con i piccoli e abbiamo lasciato tranquilli i grandi e i poteri i forti”. Mario Monti è soddisfatto quando arriva, a piedi, nella sala della conferenza stampa dopo otto ore di Consiglio dei ministri a Palazzo Chigi per presentare il decreto legge sulle liberalizzazioni. Dagli annunci sembra una rivoluzione, ma poi la parola più citata dal premier e dai suoi ministri è “pianta organica”. Sinonimo di piccole variazioni in un quadro che non si tocca se non nei dettagli.
Non c’è mai stata tanta polizia attorno alla sala Polivalente dove Monti tiene le sue conferenze stampa. I tassisti non ci sono, ma è anche per colpa loro che le protezioni sono decuplicate rispetto al solito. Prima di cominciare l’elenco delle misure Monti cita il capo dello Stato Giorgio Napolitano “che ha cortesemente dichiarato che il provvedimento è corposo e incisivo”. Poi cita pure un certo Carmelo Lentino, esponente di quel Forum dei giovani che al premier piace considerare rappresentativo della categoria. Ha detto che dal decreto arriva “una boccata d’aria”. Quella che conta è ovviamente la copertura istituzionale del Colle (anche perché qualcuno potrebbe obiettare sulla costituzionalità di liberalizzare per decreto legge). Tiene più al sostegno del Quirinale che a quello dei partiti. Li cita dopo alcuni minuti, scusandosi per la dimenticanza: “Sono stati di grande aiuto a farci capire meglio gli umori delle componenti sociali”. Devono essere stati anche particolarmente efficaci. Lo choc promesso dal sottosegretario Antonio Catricalà qualche settimana fa a Porta a Porta, quando minacciava interventi in “tutti i settori”, non c’è. In conferenza stampa Catricalà parla delle piccole novità in materia di assicurazioni, dagli sconti se c’è la scatola nera all’obbligo per i venditori di presentare almeno due offerte (ma non viene abolito il monomandatario, che sarebbe stato il vero cambiamento).
Uno degli scopi delle liberalizzazioni è creare posti di lavoro, il decreto “cresci Italia” lo fa ma senza toccare le regole attuali: 500 notai in più con la garanzia, promette il ministro della Giustizia Paola Severino, che il numero sarà adeguato alle evoluzioni demografiche dei Comuni, così da “garantire l’equilibrio”. I farmacisti aumentano, 5000 in più, e il ministro della Salute Renato Balduzzi promette che si provvederà anche alle 841 sedi vacanti che nessun farmacista vuole perché in sedi poco allettanti, tipo i paesini di montagna. Nessuno può obiettare che l’impatto sull’economia sarà positivo. Ma i farmaci di fascia C, quelli con obbligo di ricetta ma pagati dal cittadino, restano in farmacia: anche qui non c’è rivoluzione, come nella manovra dove un emendamento notturno aveva blindato la lobby dei farmacisti che, soprattutto nel Pdl, conta molte sponde.
E i tassisti? Nel primo giro di tavolo nessuno dei ministri sente il bisogno di accennare al tema – economico e di ordine pubblico – al centro della settimana. “Mi è parso di percepire dal mio studio un certo interesse all’argomento”, ammette Monti. E Catricalà alla fine concede qualche dettaglio che rafforza l’impressione di un pareggio con la lobby che nei giorni scorsi ha paralizzato il centro di Roma e assediato Palazzo Chigi. Questo il compromesso: non nasceranno gli imprenditori delle licenze perché ogni tassista potrà avere solo una licenza più una part-time che, accordandosi con un collega omologo, potrà sfruttare nelle ore libere. Due tassisti, tre turni. Le licenze aumenteranno (forse), se lo deciderà un’apposita autorità indipendente “sentiti i sindaci”. E il punto sensibile è capire quanto sarà vincolante il parere dei politici più esposti alla lobby dei tassisti.
Le buone intenzioni del governo, che lima i testi per tutta la giornata salvo per la pausa pranzo con prosciutto e mozzarella, diventano provvedimenti. La Severino annuncia l’abolizione delle tariffe minime per gli avvocati e la nascita del tribunale per le imprese, una specie di corsia preferenziale per le aziende. Catricalà giura che nelle assicurazioni qualcosa cambierà e che le Rc Auto saranno più economiche. Monti tiene molto alla nascita delle società a responsabilità limitata semplificate, si possono aprire con un euro di capitale e meno controlli, dedicate ai giovani sotto i 35 anni.
Sui “grandi interessi” e i “poteri forti” niente o quasi. Nessuno cita l’operazione più rilevante, quella su cui la Borsa scommette da giorni: la separazione di Snam, la rete del Gas, dall’Eni, operatore dominante nel settore che ne controlla l’infrastruttura. A margine della conferenza stampa Passera concede qualche cenno: la norma è rimasta come nelle bozze, un semplice rimando alla legge del 2006 che imponeva a Eni di scendere al 20 per cento, e che concede al governo sei mesi (“mi pare”, dice il ministro) per stabilire i dettagli dell’operazione. Si vedrà. Niente da fare per le Ferrovie dello Stato, la rete (nella società Rfi) resta dentro il gruppo Fs. Ma i concorrenti privati, come la Ntv di Luca di Montezemolo, ottengono la concessione di non dover applicare il contratto nazionale dei ferrovieri, molto oneroso. Tutto qui. “Le misure prese sono tutte orientate alla positività, ci vuole un po’ di tempo, ma i risultati si vedranno”, spiega Monti a Lilli Gruber su La 7, a Otto e mezzo (spiega anche che lui non è massone, “non so bene cosa sia la massoneria”). Ma va ricordato che c’è pure il Parlamento: il “cresci Italia” è un decreto legge, che dovrà essere convertito con una legge. E quello che sta succedendo con gli emendamenti alla legge che converte il milleproroghe, dove resiste perfino il tradizionale condono per i manifesti abusivi dei partiti, suggerisce prudenza. Monti però dice che “il precedente della conversione della manovra è incoraggiante”. E la prossima settimana, annuncia il premier, si fa il bis con un decreto sulla “semplificazione”. Che significa? “Lo vedrete”.
Il Fatto Quotidiano, 21 gennaio 2012