Erano gli unici a poter scendere sotto i 70 metri di profondità con le loro attrezzature private, da oltre 10 mila euro a testa. "Siamo più palombari che sub - dicono - e in certi momenti non è stato facile nuotare tra cibo, giocattoli e lampadari". Lasciano il posto ai tecnici incaricati di salvare l'isola dal disastro ecologico
Si chiamano speleologi. Volontari. Sono l’altra faccia del naufragio, quella che è salita in auto da Bergamo come dalla Sicilia è arrivata al Giglio per aiutare i soccorritori. Di giorno in acqua, la notte nell’immensa camerata della scuola di Giglio Porto, dove dormono, mangiano, si riposano (poco). Di professione fanno altro, chi dirige un museo, chi insegna alla scuola elementare, chi è iscritto alle liste di disoccupazione, ma la loro passione è la speleologia, in mare e terra, e hanno attrezzatura da diecimila euro a testa. “Siamo arrivati appena ci hanno chiamati. In questo tipo di soccorsi – spiegano – siamo più adatti noi dei vigili del fuoco o dei carabinieri, perché loro fanno grandi cose, ma nell’immediatezza del soccorso le nostre attrezzature ci permettono di rimanere in acqua fino a tre ore con una migliore visibilità. Un tempo di permanenza a venti metri di profondità che un sub con un’attrezzatura normale non può permettersi. Siamo più palombari che sub”.
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Le loro storie sono quanto di migliore è stato fatto in questi lunghi giorni di attesa, l’attesa di una buona notizia che non è mai arrivata. C’è Corrado, medico arrivato da Brescia che per cinque giorni ha smesso il camice e ha indossato la muta, arrivando fino a 70 metri di profondità in quel mare che ha inghiottito la Concordia. C’è il presidente del Corpo, Piergiorgio Baldracco, che ha lasciato la sua azienda d’arredi da giardino a Torino, per venire qui sull’isola a esplorare la nave inabissata. Quando li incontri nella loro tenda, a mezzanotte passata, dopo una giornata infernale, scherzano e sorridono tutti. A nessuno pesa rischiare la vita per zero euro, ma tutti sono rimasti scossi da quello che hanno visto là sotto. “Non è stato facile, in alcuni momenti è stato davvero dura”, racconta Antonino, specialista con 25 anni di attività subacquea, venuto da Verona. “È un mondo congelato, sospeso”. Giuseppe ha trovato persino un centrino con ancora i ferri dell’uncinetto, ancora incompleto, di chissà chi. E poi indumenti, sedie, suppellettili, borse, scarpe tacco 12 pronte per una delle tante serate di gala nella nave dei sogni. Tutto accatastato e mescolato con cibo, giocattoli, lampadari. “La magia di un sogno sconquassata in un attimo. Angosciante”.
Il loro Corpo, insieme ai palombari della Marina militare, è l’unico dotato di strumentazioni che permettono di scendere fino a 100 metri di profondità. Attrezzature altamente sofisticate, simili a quelle utilizzate dagli astronauti. Basti pensare che i Vigili del fuoco possono spingersi fino a 50 metri, mentre tutti gli altri, Carabinieri e Polizia arrivano a 40. La macchina, se così si può chiamare, che permette l’attività degli speleologi alpini è il “Rebreather, auto-respiratore a circuito chiuso, che ricicla l’ossigeno, grazie a un filtro che trattiene l’anidride carbonica. Con questi respiratori, che solo nell’aspetto assomigliano a delle comuni bombole, si sono addentrati nel relitto adagiato sul fondale marino. E lì ci son rimasti anche tre ore. Quella passata è stata l’ultima notte sull’isola per loro. “Per ora il nostro lavoro è finito. Se poi ci sarà ancora bisogno ritorneremo”. Nei prossimi giorni le brandine, i sacchi a pelo e la tenda dove hanno dormito andranno ai tecnici incaricati di salvare l’isola dal disastro ecologico.