Il gup di Roma ha archiviato l'accusa contro i funzionari e i costruttori del mega complesso alla periferia di Roma dopo che una serie di norme ha dato ragione all'imprenditore Antonio Pulcini. Le indagini dei pm partirono nel 2008 dopo una puntata di Report
Era un abuso edilizio, ma non lo è più. O forse, leggendo la sentenza con cui il Gup di Roma Roberto Saulino ha mandato assolto il costruttore Antonio Pulcini (rinviato a giudizio solo per un reato minore) e altri 16 tra funzionari dell’ufficio Condono del Comune di Roma e del Municipio di Ostia, in fondo, è solo finito prescritto dalle sanatorie che via via hanno fatto del mostro un pezzo di città, un mostro “urbanisticamente compatibile”. Le Terrazze del Presidente, questo il nome del comprensorio che gioca sulla vicinanza alla tenuta presidenziale di Castelporziano, divenne noto grazie a una puntata di Report su “I Re di Roma”, intesi come i costruttori edili che fecevano felici affari con il nuovo sviluppo urbanistico della Capitale del sindaco Veltroni.
Era il 4 maggio del 2008. Pochi mesi dopo, a fine dicembre, proprio a seguito di quella inchiesta giornalistica, la Procura di Roma metteva sotto sequestro gli appartamenti delle Terrazze che nel frattempo non erano già stati venduti. Le accuse dei pm Sergio Colaiocco e Delia Cardia parlavano di false dichiarazioni utili al condono certificate da funzionari compiacenti. La storia delle Terrazze, però, ricostruita da Paolo Mondani per la trasmissione della Gabanelli, aveva radici lontane. Era il 1990, infatti, quando Pulcini e Salvatore Ligresti ottennero dalla Regione Lazio la concessione per costruire uffici e negozi in un’area destinata a servizi pubblici.
In pochi anni edificarono 12 scheletri di cemento a nove piani. Era il luglio del 1993 quando il Consiglio di Stato bloccò quelle costruzioni perché l’area non era sufficientemente urbanizzata da poterle accogliere. Due anni dopo la concessione viene definitivamente annullata dallo stesso tribunale. Quella sentenza sembra la pietra tombale sulla vinceda, ma l’Italia è un Paese imprevedibile. L’anno prima, infatti, il governo Berlusconi aveva aperto la stagione dei condoni: che vi rientrassero anche i 12 palazzoni di via di Acilia? A norma di legge pareva proprio di no. Il condono, infatti, poteva riguardare stabili che non eccedessero il volume di 750 metri cubi. Quel comprensorio, con i suoi 1.367 appartamenti era invece la bellezza di 283 mila metri cubi. Inoltre le stesse maglie del condono permettevano di regolarizzare il cambio di destinazione d’uso da produttivo (negozi e uffici) a residenziale solo se queste costruzioni, in forma di “case”, fossero terminate entro il 1993.
La società di Pulcini avanza comunque la sua richiesta di condono. Nel 1999 la giunta comunale di Francesco Rutelli, sigla una convenzione con la società che ha lottizzato abusivamente l’area. Avendo fatto richiesta di condono, e dovendo versare per questo motivo una cifra vicina ai 15 milioni di euro nelle casse del Campidoglio, la società si impegna a fare alcuni lavori per raccordare quel pezzo di città al resto. Tutto bellissimo, non fosse che quei palazzoni, non possono essere condonati. Almeno non fino al 2003, quando una mano amica del centrodestra consegna al condono edilizio di quell’anno una norma cucita addosso a quei palazzi che adesso possono essere condonati anche frazionati, vale a dire “un pezzo per volta”. Eliminato il problema della cubatura resta quello della destinazione d’uso: quegli ‘uffici’ costruiti nel 1993 per ospitare uffici e negozi possono essere considerati ‘appartamenti‘?
In quel 2003 l’ufficio condoni del Comune va a “verificare” e per i pm attesta ciò che non c’è, vale a dire che sì, in quei palazzi si possono ricavare appartamenti. La Procura, che apre la pratica cinque anni dopo, verifica che negli unici due palazzi rimasti ancora scheletri di cemento gli scarichi dei servizi finiscono nelle scale. Erano quindi false le verifiche del 2003? Saulino non ci crede: i periti dei pm – spiega – non sono andati nei palazzi ispezionati nel 2003, e quindi non si può affermare che la perizia del Comune sia falsa. Se non è falsa, però, vuol dire che è vera. E quindi cade anche questa accusa. E’ tutto in regola. Paula de Jesus, che con il LabUr (il Labortatorio di Urbanistica) sollevò lo scandalo attraverso Report, è esterrefatta: “Questa sentenza non solo non stabilisce la verità dei fatti, ma nemmeno giustizia”. Ma chi è questo fortunato costruttore? Antonio Pulcini è noto nei corridoi dei palazzi di giustizia fin dalla fine degli anni ’80, ma non è mai stato condannato. Dal caso della vendita di Villa Blanc, alla speculazione dell’ex Snia Viscosa sulla Prenestina. Quel nome compare nell’inchiesta sulle tangenti al Tribunale di Roma e nello scandalo Italsanità. Nel ’96 è indagato a Perugia per aver regalato a Filippo Verde, giudice coinvolto nell’affaire Previti, un immobile da 740 milioni. Da Perugia, il caso passa a Roma per competenza e finisce in un non luogo a procedere. Ora sul suo capo pende una richiesta di rinvio a giudizio per il convento francescano di via della Cisterna, a Trastevere. Al posto delle sale che ospitavano le suore, volevano costruire 34 appartamenti di lusso. Una trasformazione resa possibile secondo il pm Maria Cordova grazie ad un giro di omissioni e autorizzazioni false. Chissà come andrà a finire.
di Eduardo Di Blasi e Valeria Pacelli
da Il Fatto Quotidiano del 22 gennaio 2012