Dalle ricostruzioni è stata accertata la telefonata del capitano alla compagnia. Ma non sono filtrate indiscrezioni sulle risposte che l'ufficio operativo di Genova ha dato alla plancia di comando. Il rischio di inquinamento di prove paventato dalla procura sarebbe collegato proprio all'ipotesi di un contatto tra Schettino e la società
Il presidente e amministratore delegato della Costa, Pierluigi Foschi, conosce l’eventualità che potrebbe mettere in ginocchio il colosso che amministra, già indebolito dall’incidente e messo a durissima prova dalle comunicazioni via radio tra Schettino e la Capitaneria di porto. Se ci si dovesse mettere l’indagine della magistratura, Costa, controllata da Carnival, avrebbe un futuro ancora più incerto di quello che vede all’orizzonte oggi. Non è un caso che Schettino, difeso i primi giorni, è stato scaricato dalla compagnia poco dopo l’interrogatorio di garanzia del comandante. Foschi gli aveva assunto anche l’avvocato più adatto a difenderlo, quando sapeva benissimo quello che il comandante aveva combinato. Lo avevano già scritto i giornali. Non c’era bisogno di ascoltare le bobine. Così, assunto l’avvocato, rassicurato i suoi familiari, la compagnia lo ha poi ripudiato e sospeso.
Tutti elementi che sono stati depositati nel ricorso che il procuratore Verusio ha presentato al tribunale del riesame di Firenze. È per questo che più che pericolo di fuga, che pure è menzionato, si parla di inquinamento delle prove. Agli arresti domiciliari, come disposti dal gip, Schettino ha un divieto assoluto di comunicazioni con l’esterno, ma è una restrizione che potrebbe essere facilmente elusa. Non c’è da sapere molto sulla dinamica dell’incidente, che ormai è chiara: Schettino, dopo aver pianificato la rotta al pilota automatico, è sceso al ristorante, ha cenato, come è abitudine per i comandanti di crociera, poi è tornato sul ponte di comando. Ha staccato il pilota automatico che non avrebbe permesso alla nave di finire sugli scogli e si è avvicinato all’isola più di quanto poteva e più di quanto altre volte aveva fatto, per l’inchino, consuetudine – secondo quanto raccontato dal comandante – ammessa dalla Costa perché è una forma di pubblicità con forte presa: al Giglio, tra i 1.200 residenti a cui piaceva l’omaggio, ce ne sono molti che hanno fatto quella crociera, su quella nave, in quella tratta.
Come se non bastasse tutto il resto, ieri, il commissario straordinario del governo e capo della Protezione civile, Franco Gabrielli, ha parlato chiaro e tondo della possibilità di clandestini a bordo, ossia persone imbarcate senza essere state registrate. Il sospetto era cominciato a circolare tra i giornalisti già da tempo, man mano che passavano i giorni senza che ad alcuni corpi venissero attributi nome e cognome. Seppur in stato di decomposizione, non si tratta di cadaveri irriconoscibili. Come è possibile allora che, procedendo per esclusione, almeno 3 dei 5 cadaveri non identificati non si riescano a collegare a tre nomi della lista? Potrebbero essere corpi fantasma. O, più verosimilmente, persone che non sono nell’elenco che Costa, dopo molti giorni e resistenze, è riuscita a fornire. E anche sulla questione legata alla lista dei passeggeri, ieri è sorto un nuovo sospetto: esistono elenchi paralleli con i lavoratori reclutati dalla Costa tramite aziende intermediarie o cooperative? La prima risposta arriva da Manrico Giampedroni, il commissario eroe ritrovato sulla nave dopo trentasei ore, che esclude categoricamente una possibile presenza di lavoratori non registrati e quindi non presenti nelle liste: “La Costa è un’azienda seria. Le registrazioni sono elettroniche, non scherziamo”.