In risposta al piano nucleare della Repubblica islamica, da luglio, gli stati Ue non potranno stipulare nuovi contratti col Paese, anche se i quelli in essere potranno essere portati a termine. Teheran risponde che "se dovessero esserci difficoltà nella vendita del greggio" si procederà con la chiusura dello Stretto di Hormuz
Secondo il ministro degli esteri britannico William Hague, si tratta di sanzioni che non hanno precedenti nella storia recente dell’Ue e “dimostrano tutta la risolutezza europea verso l’Iran”.
Catherine Ashton, responsabile della politica estera dell’Unione, ha sottolineato che le sanzioni servono “a essere sicuri che l’Iran prenda seriamente il nostro invito a tornare al tavolo” delle trattative sul dossier nucleare. Le prime reazioni iraniane, tuttavia, sono di segno esattamente opposto. Secondo l’agenzia di stampa semi-ufficiale Fars, il vicepresidente della commissione parlamentare per la politica estera Mohammad Kowsari ha commentato la decisione europea minacciando la chiusura dello stretto di Hormuz, “se dovessero esserci difficoltà nella vendita del petrolio iraniano”. Dallo stretto che chiude il Golfo persico, sono passate in queste ore alcune navi da guerra occidentali, una portaerei statunitense a cui si sono unite navi francesi e britanniche e lì, nello stretto da cui passa un quinto di tutte le esportazioni mondiali di petrolio, la marina dei Pasdaran prevede di tenere nuove esercitazioni nel mese di febbraio.
Il primo effetto della decisione europea è stato sul valore della moneta iraniana, il rial, che ha perso valore sia rispetto al dollaro che all’euro. Nei cambi di Teheran, un dollaro vale oggi oltre 20 mila rial, rispetto alla quotazione di 18 mila di pochi giorni fa. Per un euro, ci vogliono invece 26 mila rial, rispetto ai 24 mila di prima che le notizie sull’embargo si diffondessero.
Secondo gli analisti, il prossimo passo della diplomazia occidentale nel tentativo di aumentare la pressione sull’Iran sarà quello di convincere i paesi asiatici a interrompere le importazioni. Il Giappone (17 per cento del petrolio iraniano) ha già dato una sua disponibilità, mentre la Cina, all’inizio dell’anno, aveva criticato duramente le sanzioni statunitensi definite “unilaterali”. Rimane da vedere se altri due grossi importatori asiatici di petrolio iraniano, la Corea del sud (7 per cento) e l’India (16 per cento) potranno unirsi al blocco. In quel caso, le difficoltà per il governo di Teheran (e per i cittadini iraniani) diventeranno molto più pesanti, con il rischio di possibili prove di forza da parte del governo. Per valutare la risposta iraniana, però, bisognerà aspettare le prossime e ore e i prossimi giorni. In particolare, l’11 febbraio, giorno dell’anniversario della Rivoluzione del 1979, quando, tra le righe delle manifestazioni ufficiali e dei discorsi celebrativi, si potrà capire se Teheran ha scelto di recuperare uno spazio di manovra politico per evitare un isolamento quasi completo.
di Joseph Zarlingo