Sono stati probabilmente i dodici mesi più gioiosi che la storia recente di Londra ricordi. Dodici mesi – dal 10 novembre del 2010 allo sciopero generale del 30 novembre 2011 – in cui la folle ascesa di “moltidini persuase” ha portato all’esaurimento nervoso il sindaco Boris Johnson, imbarazzato la Corona, imbestialito le polizie del Regno e trasformato, in poche grandi vampate, una moltitudine di sudditi manipolati in cittadini protagonisti del proprio tempo.

Eppure le onde sismiche dei mesi scorsi sembrano già lontane un decenni. Mentre la città viene militarizzata e sottoposta ad un setaccio poliziesco ossessivo in vista del baraccone olimpico, ogni metro quadro di spazio pubblico sottoposto a minuzioso controllo, la pratica del kettling è dichiarata legale dai giudici e, sempre grazie ai giudici, i ragazzi di Occupy verranno espulsi da St. Paul, ci chiediamo se le crepe aperte nella Big Society verranno adesso riparate dal silicone della “vendetta di classe” o piuttosto dalle promesse su un nuovo ciclo di prosperità a base di isolamento politico & turismo di massa – un’Alcatraz dei balocchi, insomma.

Da sempre i ricchi sanno come disegnare ragnatele di leggi inespugnabili a difesa dei loro bottini, ma il vero labirinto di filo spinato si dipana nel cuore e nel corpo di quelli che i ricchi hanno fregato. Chi più influenza la repressione è, ancora una volta, una Maggioranza (semi) silenziosa: che censura, biasima, invoca proiettili di gomma, lamenta il disordine. Ma soprattutto si indigna e raffina il suo accento grigiastro con una parola: awkward, imbarazzante. Sono awkward moments il disordine, la promiscuità, la parola fuori posto, il tocco imprevisto in metropolitana, l’inciampo, l’infrazione delle regole borghesi con le quali sei stato battezzato. Ed è davvero awkward questa maggioranza politicamente e demograficamente trasversale, di cui fa parte anche l’ala più progressive, che all’esondante rabbia degli esclusi dalla Big Society vorrebbe rispondere, nel più benevolo dei casi, con l’incantesimo della delega: «Comprate libri, guardate film, studiate i vostri master, e non disperate: prima o poi una giustizia sociale arriverà».

Viene in mente il finale surreale di Underground di Emir Kusturica, dove un lembo di terra prende il largo sul Danubio e si porta dietro tutti i protagonisti del film, in un ballo tzigano che sembra suggerire una migrazione dalla grande storia dei Vincitori. Oggi l’Inghilterra è come quel lembo di terra: annuncia il suo isolamento del lebrosario Europa e prende il largo anch’essa, come una zattera di cemento. Ma se nel racconto collettivo dei mesi scorsi a dare il ritmo erano state le straripanti manifestazioni di massa, l’unico suono che si ascoltera’ su queste terre rischia d’essere quello delle sirene di polizia. E a rimanerci a danzare rischiano d’essere solo uomini in uniforme o uniformati schiavi.

Ma forse questo non è un che il sogno di un incubo. O forse un necrologio. O forse la città in cui abbiamo cercato di vivere spericolatamente per un anno non è mai esistita.

di Paolo Mossetti, nato a Napoli nel 1983, scrittore, report e migrante che al momento vive a Londra.

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