Le diverse versioni su quanto accaduto al Giglio raccontate dal comandante Francesco Schettino (“sono caduto in mare”, “ho coordinato i soccorsi”, “sono scappato quando la nave si è inclinata”) non sono l’unico aspetto oscuro sul naufragio della Costa Concordia. Nei dieci giorni successivi non sono mancati gli aspetti controversi sulla gestione dei soccorsi, sull’emergenza ambientale, sul numero mai chiarito dei dispersi.
Coordinamento soccorsi. Che sull’isola sia mancato un coordinamento tra i soccorritori non ne ha fatto mistero neppure il commissario straordinario Franco Gabrielli, arrivato sabato sull’isola sabato fresco di incarico. Che sia mancata anche l’unica autorità che poteva prendere in mano la situazione, il capo della Protezione civile per esempio, che poi è sempre Gabrielli, forse è altrettanto palese. Perché mentre il mondo guardava (davanti al relitto della Concordia sono arrivati giornalisti da Australia, Nuova Zelanda, Giappone, Stati Uniti, Inghilterra, Germania, solo per citarne alcuni) le informazioni erano in mano a portavoce improvvisati, pronti a dividersi la paternità del ritrovamento dei cadaveri, le dirette tv, le cene con i giornalisti. Ma al momento di decidere c’era sempre chi stava un passo indietro.
Giovedì 19 gennaio, alle 4 del mattino, viene convocata una riunione d’emergenza. Vengono buttati giù dal letto il responsabile dei soccorsi della Smit, BurtHuizing, e quello dell’azienda dei Fratelli Neri, Corrado Neri. Vertice sulle banchine del porto nella tenda diventata il comando dell’unità di crisi. Pensano di dover partire con il bunkeraggio della nave, la rimozione del gasolio. Loro a dire il vero sono pronti. Per due ore parlano, ma alla fine ogni decisione viene rinviata: nessuno ha l’autorità per prendersi la responsabilità di smettere con le ricerche, visto che a quel punto nessuno usa già più il termine soccorso. Tornano tutti a casa, ma la mattina successiva anche le ricerche non riprendono. Correnti, diranno. Troppo rischioso. In dieci giorni è successo cinque volte. “Noi”, dicono Smit e Neri, “non potevamo chiedere condizioni meteo-marine migliori di queste. È un recupero difficile, il tempo ci avrebbe aiutati”. Solo oggi è arrivata un’indicazione definitiva: la rimozione del carburante inizierà sabato. Due settimane dopo il naufragio.
L’assenza del governo. Otto giorni sono serviti per nominare un commissario straordinario. Gabrielli viene più volte sollecitato, sabato mattina, a una risposta su questo punto. Lui allarga le braccia e dice “adesso ci sono, non chiedetelo a me”. Nessuno – non è il momento – si azzarda a chiedergli della sua assenza in qualità di capo della protezione civile. In realtà, quattro minuti era stato visto al Giglio, ma solo per una ricognizione, martedì. Poi se ne sono perse le tracce. Non pervenuto neppure il ministro dell’ambiente Corrado Clini. Si è fermato più a nord, a Livorno, per un vertice con la Capitaneria di porto lunedì scorso, dalla quale è uscito con la convinzione del disastro ambientale imminente, pochi giorni dopo ribadita addirittura tra i banchi del Senato. Neppure l’altro Corrado Passera, che è ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, si è fatto vedere. Lui neppure a Livorno è arrivato. Un breve commento da Roma rilasciato alle agenzie, nulla di più. Niente tecnici, dunque. A una settimana dal naufragio, è arrivato Renato Schifani come rappresentante delle istituzioni
Le gare di annuncio. Prima che Gabrielli liquidasse i portavoce di Guardia costiera e Vigili del fuoco e si facesse lui portavoce di ogni notizia da riferire alla stampa, è stata una gara alla diretta tv. Domenica sera, quando vengono individuati due cadaveri dentro alla Concordia, l’annuncio viene dato in diretta tv, su Sky Tg 24 dalla Capitaneria, sul Tg1 dai vigili del fuoco. Era accaduto due ore prima, ma dovevano mettersi d’accordo su chi doveva dare la notizia e a chi. È stata scelta la tv e hanno fatto imbestialire l’agenzia di stampa Ansa. Che al successivo recupero ha avuto l’esclusiva.
Il ruolo di coordinamento. Formalmente è sempre stato il prefetto di Grosseto, Giuseppe Linardi, a mantenere la titolarità dell’unità di crisi. Ma sull’isola, anche lui, non ha messo quasi mai piede. È arrivato più volte il presidente della Provincia di Grosseto, Leonardo Marras, il prefetto mai. Tutto sbrigato via telefono.
La compagnia. L’amministratore delegato e presidente di Costa, Pierluigi Foschi, è stato almeno due volte sull’isola. Lacrime agli occhi, si è sottoposto volentieri ai riflettori. Quanta gente c’era a bordo? Niente, la sua risposta non arriva. Viene incalzato più volte da ilfattoquotidiano.it in diretta tv, anche lui, ma la risposta non arriva. Forse è quella data da Gabrielli domenica: possibile che sulla nave, insieme alla ragazza moldava che accompagnava come un’ombra il comandante Francesco Schettino, ci fossero altre persone non registrate. Magari lavoratori in nero, quelli della terza classe, di cui ancora oggi nessuno reclama il corpo. Inoltre il censimento dei superstiti all’arrivo a Porto Santo Stefano sabato 14 ha fatto acqua da tutte le parti, visto che per giorni, anche per la poca chiarezza di Costa Crociere, sono spuntati dispersi da Fiumicino fino alla Germania, vivi e vegeti, che avevano con molta tranquillità saltato il riconoscimento da parte delle istituzioni subito dopo il naufragio.
Le indagini. Il procuratore di Grosseto, Francesco Verusio, anche lui assente dall’isola, è quello che ha scelto la linea più sobria. Ha parlato con tutti senza dire niente. Lo ha fatto dal primo giorno. E ha continuato su questa strada, fino ad arrivare al paradosso di martedì al palazzo di Giustizia. Di fronte ai giornalisti di tutto il mondo che per ore avevano atteso le sue dichiarazioni dopo l’interrogatorio a Schettino, ha convocato una conferenza stampa per dire che non cambiava niente e per il resto: “Non fatemi domande” . Il suo telefono cellulare ha squillato giorno e notte. Una parola, sempre, risposte mai. Si è sfogato solo quando a Schettino sono stati concessi gli arresti domiciliari.
di Emiliano Liuzzi, David Marceddu, Giulia Zaccariello