Carmine Rotatore apre la botola in legno l’unica stretta via d’accesso al loro rifugio mai visitato prima d’ora mentre il collega-amico-compagno di torre, Oliviero Cassini, scosta un poco il sacco a pelo che spunta dalla tenda. Siamo al primo livello della torre occupata. È impossibile per chiunque arrivi alla stazione centrale di Milano non vedere quel pilone di ferro dove sventola il tricolore e dal quale penzola una lingua di carta gialla con la scritta: “L’Italia è più divisa senza i treni notte”. Vallo a dire alla Lega che sta sfilando a poche centinaia di metri da dove Carmine, Oliviero (e fino al giorno prima anche Giuseppe Gison) ripetono allo sfinimento che se ne staranno dove sono fino a che non riavranno il loro lavoro.
Quale? Si definiscono un po’ gli angeli custodi dei treni notte. Carrozze, cuccette dove la gente sale, dorme e viaggia. Ora da Milano non ne partono praticamente più. Tutti devono per forza arrivare fino a Roma e poi prendere altri treni per raggiungere la Sicilia, la Calabria e la Puglia. Oggi, quelli dalla ex Wagon Lits di Torino, dalle 11 alle 18, porteranno in piazza Castello una carrozza simulando il loro lavoro che Oliviero riassume seduto su di un asse incastrato tra due lembi di ferro. E intanto il sole comincia a scaldare i cellophane che ricoprono la struttura in ferro. Nel minuscolo spazio quadrato dove stiamo seduti coabitano la tenda canadese, il bagno chimico, la cassetta con le bottiglie d’acqua, giornali e coperte. Riprendono il racconto del lavoro di Carmine, Oliviero e degli altri 800 ex dipendenti (oltre a Torino in presidio anche Roma) della ex Wagon Lits che cominciava un’ora prima della partenza del treno notte e finiva a destinazione. Si cominciava con il ritiro dei documenti e l’accoglienza dei passeggeri. “Biglietti nominali da verificare con il documento, la consegna di coperte, lenzuola, assicurarsi che il riscaldamento funzionasse (d’inverno) così come l’aria condizionata (d’estate). Eravamo un po’ tutto fare – prosegue Oliviero – perché le persone che viaggiavano la notte dovevano dormire sonni tranquilli”. Poi il caffè e la sveglia all’ora chiesta dai passeggeri. Oltre 20 anni di lavoro così. Su e giù per l’Italia svolgendo questo che per loro è e rimane un “servizio pubblico”.
I livelli della torre metallica sono quattro. Al primo ci vivono, poi come gatti ci si arrampica nel cerchio di ferro salendo di altri 10 metri arrivando nella zona notte. Si sta per forza seduti su polistirolo e cartoni messi come isolanti dal freddo. Tutto intorno, sulle nostre teste, manici di scopa fissati uno contro l’altro a reggere la struttura che sembra l’interno delle tende degli indiani. I due ferrovieri spiegano che in questo modo non si imbarca acqua piovana. Il colore arancio del grande telo che avvolge la struttura trasforma l’interno della torre nella cabina di una piccola imbarcazione a vela così Oliviero e Carmine da ferrovieri sembrano più che altro due lupi di mare. Ma il racconto riprende dai treni soppressi.
Dalle scatole cinesi di appalti (ripetono i due: “Come l’accordo siglato in Lombardia il 30 dicembre”) in cui sono finiti tutti i lavoratori del settore notte. Eppure solo otto mesi prima erano state addirittura sostituite le divise di questi stessi lavoratori. “Basti pensare che nel periodo in cui eravamo in contratto di solidarietà ci veniva chiesto di lavorare anche più di prima” spiegano Oliviero e Carmine mostrando gli articoli di giornale in cui il segretario della Cgi, Susanna Camusso, e il ministro Passera dichiarano di volersi impegnare per trovare una soluzione a livello nazionale del problema. “Il 26 dicembre Camusso è venuta a trovarci ribadendo l’importanza del nostro servizio, siccome la conosciamo dai tempi in cui era una semplice delegata come noi sappiamo che manterrà la sua parola”.
L’ascesa prosegue verso la vetta metallica dove sventola la bandiera. Raggiungiamo il quarto livello. Dalla stazione centrale escono i treni svizzeri, gli sgangherati regionali, i fatiscenti Ic e le super lucide Frecce. Il vento fa oscillare la torre. Iniziano ad arrivare le telefonate dei sindacalisti e dei giornalisti. “Da domani questa torre è aperta a chiunque vorrà salire. Grazie a tutti quanti ci stanno vicino. Tutti sulla torre”. Pensare che quelli della Filt-Cgil vorrebbero convincerli a scendere per portarli “in tour in un viaggio di protesta”. Ma Oliviero e Carmine non ne hanno nessuna intenzione, soprattutto ora dopo quasi 50 giorni. Ormai siamo al punto più alto della struttura, nessuno di noi tre parla. Ascoltiamo il vento e i fischi dei treni che escono dalla pancia della Stazione centrale di Milano.
Il Fatto Quotidiano, 24 Gennaio 2012