So di ficcarmi in un ginepraio, criticando Beppe Grillo. E facendolo, per di più, sul Fatto: che conta certamente molti lettori tra i suoi sostenitori. Però – francamente – non mi interessa, vista l’importanza del tema. Che non ammette tentennamenti, timidezze, «se» e «ma». E che anzi richiede sensibilità, coerenza, lungimiranza (e non approssimazione, presunzione, gusto della provocazione). Mi riferisco al tema della cittadinanza italiana per persone nate in Italia da genitori non italiani. Su cui (meglio: contro cui) Grillo ha ieri pubblicato un post che ha suscitato dure critiche – per fortuna – anche da parte degli stessi lettori del suo blog.

Mi è capitato, personalmente, di prendere posizione netta sull’argomento già un anno e mezzo fa, proprio su questo sito . Ma ancora di più mi è capitato di approfondire, sapere, capire grazie ai tanti racconti, ai tanti (qualificatissimi) interventi ascoltati e letti negli ultimi mesi. A cominciare da quelli dei promotori della campagna d’opinione «L’Italia sono anch’io». Convincendomi ancor più che non solo sia necessario riformare la legge sulla cittadinanza, ora basata su un anacronistico ius sanguinis invece che – come avviene in paesi come Francia, Stati Uniti, Argentina, Brasile, Canada, ecc. – su un più realistico – per un paese di forte immigrazione come l’Italia – ius soli. Ma anche che sia urgente farlo, perché già oggi centinaia di migliaia di persone nate e vissute in questo paese non hanno, fino al compimento del diciottesimo anno, gli stessi diritti di cittadinanza degli altri. E anche al raggiungimento della maggiore età non è detto che possano facilmente e rapidamente ottenerli a causa di criteri piuttosto rigidi (si veda una sintesi su www.secondegenerazioni.it/legge-cittadinanza/) ed esasperanti lentezze burocratiche. Necessario e urgente – dicevo – per aggiornare il nostro sistema giuridico rendendolo più conforme alla realtà dei fatti, certo. E per sanare – tanto sul piano dei principi quanto su quello formale – un vuoto politico e culturale, prima ancora che legislativo. Ma soprattutto per risolvere un problema vero per le persone coinvolte, come ha cercato di spiegare ieri Randa Ghazy sul blog del collettivo Alma.

Per questo ieri sono trasalito anch’io, come molti, nel leggere ciò che Grillo ha postato sul suo blog, sotto il titolo di La liberalizzazione delle nascite: «La cittadinanza a chi nasce in Italia, anche se i genitori non ne dispongono, è senza senso. O meglio, un senso lo ha. Distrarre gli italiani dai problemi reali per trasformarli in tifosi. Da una parte i buonisti della sinistra senza se e senza ma che lasciano agli italiani gli oneri dei loro deliri. Dall’altra i leghisti e i movimenti xenofobi che crescono nei consensi per paura della “liberalizzazione” delle nascite».

Fa trasalire, intanto, l’inconsistenza argomentativa del post. «Distrarre gli italiani dai problemi reali?» Prima di tutto, questo «problema» non «distrae» affatto dagli altri. Anzi, semmai chiede di essere assunto ed affrontato come pezzo di un percorso di riforma della società, come complemento a una battaglia più generale per il ripensamento e il riconoscimento dei diritti di cittadinanza di tutti. E poi, con quale supponenza si può dire che questo non è un problema «reale»? Forse non lo sarà per Grillo, ma di certo lo è per quelle centinaia di migliaia di persone che devono farci i conti, anche ben prima di aver compiuto diciotto anni. «I buonisti della sinistra senza se e senza ma»?. E dagli – ancora – con questa storia del «buonismo». Come se l’assenza di politiche sociali di lungo termine fosse stata causata dai «deliri» dei «buonisti della sinistra» (i cui esponenti – è bene ricordarlo anche a Grillo – sono stati al governo per soli sette anni in questo Paese dal 1994) e non dalle politiche reali proprio dei «leghisti e dei movimenti xenofobi». «Oneri dei loro deliri» lasciati agli «italiani»? Ma quando mai! Gli oneri del vuoto politico e legislativo, in questo caso, semmai li hanno sopportati (e li sopportano) proprio – e soltanto – quelli che Grillo non vorrebbe far diventare italiani. «Liberalizzazione delle nascite»? Ma che significa? Perché dar corso a un’espressione e a uno slogan così gretti? E chi avrebbe paura, di questa supposta «liberalizzazione»?

Ma oltre all’inconsistenza dei paradossi, a sorprendere è soprattutto il tono generale. Per quella logica – viscidamente sottesa – che la questione sia da porsi, ancora e sempre, in termini di «noi» italiani e «loro» (ed è proprio questo schema ritrito a creare le opposte tifoserie esecrate nel post). Per la superficialità, la sciatteria, la protervia. Ovviamente Grillo, come qualunque cittadino – italiano o non ancora italiano – può esprimere le opinioni che vuole. Però questa non è neppure un’opinione (che richiede argomenti, sostanza). Questa è soltanto una boutade. Uno provocazione fine a se stessa (anzi, un fine l’ha avuto, irritando moltissimi lettori: ma cui prodest?). Però la politica – soprattutto da parte di chi la fa, come Grillo sa bene, essendo la guida di un movimento che ha rappresentanti nelle istituzioni – dovrebbe essere qualcos’altro: dovrebbe esprimere analisi, suggerire proposte, articolare confronti. Altro che frizzi, lazzi, ed ebbre chiacchere da bar.

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