Il ricordo al riesame è stato depositato oggi dall'avvocato Bruno Leporatti. Per il legale inoltre viè il minimo pericolo delle reiterazione del reato, visto che la tragedia del Giglio non può essere paragonata a un semplice incidente stradale
Il comandante Francesco Schettino “non è pericoloso”. Non adesso. Non al punto da rendere necessaria una misura cautelare come gli arresti domiciliari. Perché non corre il rischio di essere recidivo. C’è il fattore probabilità e, che il capitano della Costa Concordia si trovi in condizioni analoghe a quelle della notte tra il 13 e il 14 gennaio, è impensabile.
Questa la motivazione principale su cui si regge il ricorso contro gli arresti domiciliari del principale indagato per la tragedia della Concordia, depositato alle 10 in punto di stamani al Tribunale del Riesame di Firenze. La linea del suo avvocato Bruno Leporatti è articolata nelle undici pagine che lo compongono. Difficile che l’indagato, si legge nel testo, possa “ritrovarsi in situazioni simili o analoghe a quelle in cui è maturato il fatto di reato e che nuovamente cada negli stessi errori, negligenze o violazioni”.
Esplicativo, a questo proposito, il parallelo tra chi è accusato di omicidio colposo per un incidente stradale (qui sì che “possono esserci presupposti sufficienti per ritenere probabile la reiterazione delle condotte colpose”) e chi deve rispondere di fatti di questa portata ed eccezionalità. Eventi che non sono certo all’ordine del giorno. E’ quantomeno improbabile, infatti, che Schettino possa “trovarsi in situazioni analoghe o similari a quelle in cui si realizzò il reato, potendo, quindi, comportarsi nello stesso modo”. Altro esempio portato sul tavolo dei giudici del Riesame è quello della colpa medica. “Va da sé che nessuna esigenza cautelare sarebbe ravvisabile nell’ipotesi di un medico cui è addebitata la morte di un paziente” anche perché viene “privato della possibilità di esercitare la professione”. Quindi per Schettino, secondo la sua difesa, varrebbe lo stesso principio.
Nel ricorso, però, si scopre dell’altro. Schettino ha proclamato “il suo intento di cambiare vita” e quello “di cessare la sua attività di marittimo”. Un’affermazione che emerge da un dialogo con l’altro indagato, un colloquio intercettato nella caserma dei Carabinieri di Orbetello dove i due si trovavano. E dove erano stati lasciati proprio per essere ascoltati. Anche se avesse espresso la volontà di assumere nuovamente il comando di una nave, questo, per la difesa, sarebbe stato impossibile: un ruolo del genere si basa su un rapporto di assoluta fiducia fra il comandante e l’armatore e “non sembra – continua il ricorso – che possa affermarsi in qualche modo reale, probabile o semplicemente possibile che la Costa Crociere, società armatrice della nave naufragata, affidi nuovamente al comandante Schettino una delle proprie navi, così come appare altrettanto irreale l’ipotesi che altro armatore possa affidare un comando ad all’indagato, accusato di aver colposamente fatto naufragare la Costa Concordia, con perdita di vite umane e sottoposto ad un vero e proprio massacro mediatico nel quale, fra l’altro, si sono – seppure in modo inveritiero – si è affermata la sua imperizia ed incapacità a rivestire un ruolo di così grande responsabilità”.
Ricchissimo di tecnicismi, il ricorso contiene però alcune critiche alle considerazioni negative del Gip sulla personalità di Schettino. Per un giudizio occorre “che la personalità dell’imputato sia oggetto di specifico scrutinio in tutti i suoi aspetti, scrutinio da tradurre in una altrettanta specifica motivazione” guardando alle condotte del capitano non soltanto nel contesto del dramma della Concordia. Va tenuto conto che si parla di una persona “della specchiata carriera professionale” iniziata dall’attività di mozzo. Schettino si è fatto apprezzare, è stato scelto. Alla guida di quella nave c’è stato messo. Ha percorso l’intera scala gerarchica della marina mercantile sino a vedersi attribuito – da anni – il comando di importanti navi: fra le altre la Costa Europa, la Costa Serena. La Costa Atlantica e da ultimo della Costa Concordia, di una delle maggiori compagnie di navigazione turistica del mondo. E questi sono dati di fatto. Secondo la difesa è un elemento certo pure la volontà di Schettino di salvare vite e l’aver “prontamente condotto una manovra difficile” che ha portato la Concordia ad incagliarsi vicino all’Isola del Giglio “con intuibile facilitazione dei soccorsi”.
Comportamento, questo, definito “positivo” e “da prendere in considerazione”. Certo, ammette il suo legale, la situazione eccezionale ha portato, “per chi si trovava a viverla e, soprattutto per l’indagato, intuibili problematiche di stress anche psicologico destinate ad incidere sui suoi concreti comportamenti”. Ed “eccezionalità dell’evento significa anche, nel bene o nel male, eccezionalità dei comportamenti” per tutti. Schettino compreso. Ma nonostante lo stress c’è un punto fermo per la difesa: Schettino continua a negare di aver “volontariamente abbandonato la nave” e ribadisce di “essere stato sbalzato fuori bordo”. Che poi sia finito proprio su una scialuppa, è un altro discorso e nel ricorso non se ne parla. Intanto, ci sono sviluppi sul fronte degli accertamenti tecnici. Il 3 febbraio è stato fissato l’incidente probatorio sulla scatola nera della Concordia, atto unico e irripetibile al quale, come da prassi, prenderanno parte anche gli avvocati della difesa.