Premetto che in Italia è molto difficile fare leva – in politica come nella comunicazione commerciale e sociale – su sentimenti di orgoglio e amor patrio, perché gli italiani: 1) preferiscono pensare a se stessi in modo autoironico e a volte, purtroppo, anche autodenigratorio; 2) se poi si sentono anche «di sinistra» e «progressisti», pensano che il patriottismo sia di destra e dunque sono pronti a bollare come «retorica» e «reazionaria» qualunque comunicazione che vi faccia appello.
Altra cosa accade per esempio negli Stati Uniti, dove la storia nazionale, i «padri fondatori», la grandezza e l’unità d’America (le chiamano così) sono valori normalmente usati in comunicazione politica, a destra come a sinistra, e si trovano spesso – con efficacia – anche in pubblicità.
Detto questo, è chiaro che un’azienda che inserisce il tricolore in una pubblicità non può che aspettarsi polemiche. Specie in questo momento storico, in cui i localismi (a nord come a sud) gridano ai quattro venti le loro ragioni.
Lo fa per esempio Unicredit da qualche settimana, con una campagna che punta ad associare al marchio della banca la bandiera nazionale, l’amore degli italiani per il loro paese e il desiderio di vederlo uscire dalle difficoltà. E infatti Unicredit ha infastidito molti. Lo fa da qualche giorno anche Fiat, con lo spot per la nuova Panda.
E le polemiche sono ancora più accese. La campagna Fiat, infatti, fa ben di peggio: svaluta implicitamente una certa Italia del sud, rappresentata dal Vesuvio e dal cameriere col piatto di pasta («accontentarci dell’immagine che ci vogliono dare») e la contrappone al sud di Pomigliano che sceglie di «essere noi stessi» per «ripartire» ed è rappresentato dai lavoratori (e una lavoratrice) della Fiat alle prese con tecnologie d’avanguardia, e intenti a mettere «passione» e «creatività» nel loro lavoro. Ma lo spot svaluta anche, più in generale, l’Italia dei «giovani che cercano un futuro», perché vi appaiono col volto mesto e preoccupato; e pure l’arte è in una posizione dubbia, perché quelle sculture che spuntano qua e là dovrebbero simboleggiare la creatività, ma certo impallidiscono di fronte all’Italia «capace di grandi imprese industriali», e dunque non si capisce se l’arte è vista in positivo o no. Insomma lo spot contiene alcune contraddizioni: come fai a ostentare la bandiera nazionale se presupponi un’Italia divisa in buoni e cattivi? E come fai a contrastare l’Italia «pittoresca» se le contrapponi una visione edulcorata della Fiat, a pochi mesi di distanza dalle lacerazioni che hanno portato all’accordo di Pomigliano?
Ma queste domande la Fiat non deve essersele fatte. Perché lo spot ricalca pedissequamente quello americano della Chrysler Jeep Grand Cherokee.