Si fa, ma non si dice. Per milioni di italiani è un’abitudine quotidiana, come la radio la mattina o il tg all’ora di cena, eppure pochi si sognerebbero di farlo sapere pubblicamente: è illegale d’altronde. Con la chiusura del network Megaupload e Megavideo – sterminata prateria di film, software, serie televisive – e con l’autocensura di numerosi portali simili che temono di fare la stessa fine, il caso è esploso finendo sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Ma da anni – e probabilmente per molto tempo a venire – lo “streaming”, il “download” il “file sharing”, il “bit-torrent”, tutto ciò che permette di fruire di contenuti multimediali, ha generato una realtà così radicata e diffusa, che è riduttivo guardarla solo dal punto di vista dell’attualità: è un fenomeno anche culturale.
Lo streaming e il downloading detta abitudini, gusti, consumi mediatici: “Sarei anche disposta a pagare, ma le ‘mie’ serie in Italia non si riescono a recuperare in nessun modo. Come devo fare adesso?” ci dice Cristina, una studentessa bolognese. Non è l’unica a dirsi “disperata senza Megavideo” tra i vari utenti che abbiamo interpellato. Ma la maggioranza, senza farsi troppi crucci, è semplicemente migrata su altre piattaforme e lo streaming si è interrotto solo per una sera. Il giorno dopo tutti come prima: si spegne la tv, la sera, e si guarda una serie. Si torna dal lavoro, e si scarica un film. Si esce da casa la mattina, e si lascia il torrent collegato.
I numeri del fenomeno “cyberlocker”, dei siti e software che danno accesso a file, sono impressionanti: secondo la Fimi, Federazione industria musicale italiana (che da anni si batte contro la condivisione di contenuti protetti da copyright), sono circa 6 milioni gli italiani che li utilizzano; Megavideo il portale che risultava di gran lunga il più conosciuto e più utilizzato, contava 1,7 milioni di utenti solo a casa nostra. Numeri da capogiro anche per gli altri strumenti per “scaricare”: il sistema di file sharing eMule conta 990 mila utenti; i client BitTorrent, sistema solo all’apparenza più “nerd”, battono tutti con i suoi 8 milioni di utilizzatori.
L’obiettivo è uno e uno solo: accedere a una sterminata biblioteca di file, 800 mila solo in Italia. Certo, è un reato, è tutto vietato. Ma anche se il boss di Megavideo si faceva miliardario piratando le serie delle Hbo, per molti, se non per tutti, “guardare in streaming” è un crimine quanto lo era copiare le musicassette negli anni Ottanta. Praticamente nessun crimine. Troppo comodo avere tutte le puntate, di tutte le stagioni, di tutte le serie, a disposizione con un click anche mesi prima che arrivino – se arrivano – da noi.
Un fenomeno di queste proporzioni si può fermare? Gli utenti sono sicuri: no! “Problemi ne trovo solo se cerco link un po’ vecchiotti, ma per il resto ci sono gli spacciatori di video alternativi a Megavideo” ci dice Diana, 32 anni, restauratrice. Gaia, invece, di qualche anno più grande, fa un ragionamento culturale: “A me che piace vedere le serie dall’inizio alla fine, una puntata dopo l’altra. Quello che ci è stato tolto non è lo streaming, ma il lavoro immenso di raccolta che Megavideo aveva fatto: ora sembra di essere tornati a 3 anni fa”.
Molti sono corsi ai ripari: “Con videoWeed, Movshare, Novamov” ci dice Silvia; Mino, libraio leccese emigrato a Berlino denuncia: “La dura vita dello streamer è ancora più dura”, mentre Adam, bolognese, è passato al download e non ha problemi: “Il tempo che preparo il caffè il film è scaricato, poi finisce e il film lo cancello per fare spazio al film dopo”. Anche quelli meno “smanettoni”, insomma, si sono riversati su alternative di ogni tipo. E’ un fiume impetuoso che nessuno può fermare. Antonio, musicista siciliano di 32 anni, fa il suo pronostico ricordando un caso celebre: “Napster docet. Niente può fermare la condivisione”.
Napster venne chiuso nel luglio 2001: era stato il primo software ad aprire le terre inesplorate del file sharing a tutti, anche agli utenti senza grandi capacità informatiche. Era un’era geologica fa dal punto di visto della tecnologia digitale, ma da allora sono cambiati gli strumenti, non certo il bisogno innato di condivisione spinta. Quando chiusero Napster, YouTube – come Facebook, Twitter, ecc. – era di là da venire. Adesso, con un po’ di pazienza, anche sul portale video si possono trovare serie e film in spezzoni da dieci minuti l’uno. Fermare streamer e downloader è praticamente impossibile. Megavideo o no.