Il nuovo spot della Fiat Panda è bellissimo. Dal punto di vista teorico e tecnico. Ma non è stato progettato per vendere più macchine.
Poteva esserci un qualsiasi altro autoveicolo e non sarebbe cambiato nulla. Nei 90 secondi non c’è alcun riferimento specifico ai valori distintivi del prodotto né alle differenza con i suoi concorrenti. È una pubblicità di automobili che non parla di automobili. È una campagna ‘di posizionamento’, di brand, che serve al management per trasmettere i propri valori aziendali. In questo caso il brand è Fiat. Negli Stati Uniti è Chrysler, l’auto è una Jeep. Stesso spot, stessa colonna sonora, stesso montaggio, stessi ambienti, persino lo stesso claim: “Le cose che costruiamo ci rendono ciò che siamo“.
I due video, a scanso di equivoci, hanno lo stesso nome: ‘Manifesto’. Sono perfettamente identici sebbene i due prodotti in vendita siano completamente differenti. In Italia si parla di una vettura di fascia bassa (la Panda), negli Stati Uniti di un auto di fascia medio-alta (una Jeep).
Tutto questo, secondo me, tradisce le reali intenzioni della campagna del gruppo Fiat-Chrysler. Forse negli Stati Uniti i fini sono realmente commerciali; qui in Italia, a mio avviso, no.
Marchionne coglie l’occasione commerciale per mettere in bella copia il suo Manifest0. È uno spot politico a tutti gli effetti. Pone il consumatore/cittadino davanti a un bivio, ricorrendo all’approccio referendario che oramai conosciamo: non vi nascondo che dopo averlo visto la prima volta ho pensato che lo spot fosse sbagliato perché faceva venire in mente i referendum di Mirafiori e Pomigliano.
Chiede retoricamente quale Italia preferiamo e quindi a quale Italia vogliamo appartenere. È evidente che nessuno vorrà sentirsi escluso dall’Italia che funziona, dunque sarà empaticamente sensibile al messaggio. Descrive quella ‘positiva’ nel dettaglio: i valori (arte, talento, giovani, imprese industriali nella prima parte) e le persone (chi si sveglia al mattino per costruire una cosa ben fatta) nella seconda. E lascia l’Italia ‘negativa’ ai margini, la evoca in modo sfumato, senza puntare il dito contro nessuno e senza neanche citare le polemiche italiane, ma ricorrendo piuttosto alla fuga dagli stereotipi internazionali sul nostro Paese, cercando ancora una volta di far leva sull’orgoglio patriottico.
Se lo spot è uguale in Italia e negli Usa, ne discende che l’italianità di prodotto è solo un pretesto (che secondo Giovanna Cosenza non è nemmeno credibile), mentre il testo dello spot, di 30 secondi più lungo rispetto a quello americano, è disegnato per parlare al Paese, a questo Paese in questo preciso momento storico. La retorica narrativa, non a caso, è l’unica differenza evidente tra la pubblicità della Panda e quella della Jeep.
“Noi possiamo scegliere. È il momento di decidere. È il momento di ripartire. Dall’unico modo che conosciamo”.
In teoria dovrebbe rispondere la Fiom, i sindacati, qualche leader di centrosinistra. Magari con un controspot o un po’ di satira. Per il momento resta un sogno fantapolitico.