Sui temi energetici, carburanti inclusi, i provvedimenti di liberalizzazione del governo sembrano andare nella direzione giusta, fermandosi però a metà strada. La separazione tra Eni e Snam Rete Gas, che avrebbe finalmente posto al centro del sistema gas nazionale un soggetto indipendente e neutrale, verrà definito solo nei prossimi sei mesi. Bene la misura che svincola i gestori-proprietari degli impianti di carburante da clausole di esclusiva nell’approvvigionamento. Ma un vero cambiamento epocale si avrebbe se si imponesse a Eni di cedere la sua rete di distribuzione.
di Carlo Scarpa*, 24 Gennaio 2012, lavoce.info
Sul mercato energetico, soprattutto gas
Il primo intervento riguarda l’inserimento del riferimento ai prezzi europei per quelli italiani, a tutela dei consumatori del nostro paese. Il punto è che il gas italiano è normalmente indicizzato al petrolio, come è successo per decenni dovunque nel settore, e non ai prezzi spot del gas. Un piccolo problema, anche perché negli ultimi tempi all’aumento dei prezzi del petrolio hanno corrisposto invece prezzi del gas in discesa. Si tratta di una norma astrattamente corretta, ma comunque di carattere regolatorio e non certo una liberalizzazione. L’unico rischio è che potrebbe rivelarsi un boomerang qualora Eni riuscisse a comprare meglio del resto dell’Europa. Si prevede poi l’attribuzione dei volumi di stoccaggio strategico che si siano liberati alle imprese che si approvvigionano all’estero (anche in questo, provvedimento amministrativo e non certo liberalizzazione). Perché non mettere ad asta questa capacità di stoccaggio? Difficile comprendere la smania di regolare tutto, ma purtroppo restiamo all’interno di una tradizione piuttosto consolidata del nostro paese.
Il provvedimento più atteso, la separazione tra Eni e Snam Rete Gas, che avrebbe finalmente posto al centro del sistema gas nazionale un soggetto indipendente e neutrale, verrà invece definito solo nei prossimi sei mesi. Un rinvio, di fatto, e oltre tutto si tratta di un termine cosiddetto “ordinatorio” ovvero non tassativo. Peccato non si sia accelerato perché sarebbe stato il provvedimento più incisivo per il mercato e forse quello individualmente più importante di tutto il decreto. Inoltre, poiché il decreto rinvia a norme precedenti, resta valido quanto in esse previsto, ovvero che Eni possa tenere fino al 20 per cento delle azioni: perché non puntare direttamente al “modello Terna”, ove nessuna impresa del settore ha più del 5 per cento dei diritti di voto? Vedremo come andrà a finire: pare che la separazione sia cosa abbastanza metabolizzata sia dal nostro sistema politico, sia da Eni, ma “mai dire gatto…” .
Sull’elettricità non c’è molto, se non tanti aggiustamenti molto tecnici, forse corretti ma sicuramente di impatto limitato. Forse qualcosa di più potrebbe dirsi sulla risoluzione delle congestioni nella trasmissione nazionale, ma non sono certo che il decreto sarebbe stato lo strumento migliore. In quel mercato il problema principale dietro ai prezzi elevati dell’elettricità è quello del mix di combustibili, che sicuramente non può essere risolto per decreto.
Carburanti in libertà. Almeno un po’…
Su questo tema, tanti provvedimenti e non male. Si poteva fare di più?
Il provvedimento principale (non l’unico) svincola i gestori-proprietari da clausole di esclusiva nell’approvvigionamento dei carburanti (almeno, per la quota che eccede il 50 per cento del loro volume erogato). Non sono pochi, ma la danza dei numeri è complessa. La distribuzione carburanti consta di un 10 per cento circa di venditori indipendenti dalle compagnie petrolifere (grande distribuzione organizzata oppure “pompe bianche”, che sono già del tutto liberi), e poco più della metà sono di proprietà delle compagnie petrolifere. Il resto (circa 10mila impianti, il 40 per cento) si suddivide tra circa 6mila impianti che fanno parte di “catene” monoproprietario, che già sono di fatto libere anche se poi scelgono di servirsi dall’uno o dall’altro, e altri di proprietari singoli, interessati dal provvedimento. Se hanno ragione i numeri del ministero, parliamo di altri circa4mila impianti che entrano nel mercato. Se hanno ragione alcune organizzazioni di categoria, molto meno (500-1.000). Speriamo che categorie e ministero si chiariscano, in modo che il provvedimento si applichi veramente a molti.
Comunque, è ben fatto, ma forse è meno di quanto si sperava e si poteva fare. Interessanti spunti a riguardo provengono dal disegno di iniziativa popolare legato a www.liberalabenzina.it, che chiede con forza la totale separazione dei rivenditori finali dalle grandi compagnie petrolifere. Forse un po’ pesante da imporre alle compagnie stesse, e anche con basi legali non ovvie, ma sarebbe del tutto auspicabile. Se almeno si decidesse, in analogia alla rete gas, di imporre a Eni (controllata dal Tesoro) di cedere la sua rete di distribuzione, già questo comporterebbe un cambiamento epocale dell’intero sistema. Basterebbe una decisione dell’azionista di riferimento. È da tempo che ne parliamo (Distributori di Concorrenza), ma insistere potrebbe aiutare. A meno che qualcuno ci sappia spiegare a cosa serve un’impresa statale in questo settore, se non a creare un po’ di concorrenza in più…
Ci sono poi altri provvedimenti piccoli, ma nella direzione giusta. Sono stati liberalizzati i self-service “puri” (i cosiddetti impianti fantasma) almeno fuori città. Perché solo lì? Chiaramente è un compromesso, ma il senso di marcia è corretto. C’è anche un provvedimento che favorisce la metanizzazione e questo aiuta, perché spesso le pompe che la Gdo cerca di aprire vengono vincolate alla vendita anche del metano, salvo poi complicare loro la vita quando cercano di allacciarsi alla rete del metano. Dalla approvazione del decreto, anche questo intoppo non potrà essere opposto loro.
In sostanza, una buona direzione di marcia, ma si poteva provare a fare qualcosa di più. È forse illegittimo sperare che un governo “tecnico” (qualunque cosa questo significhi…) sia maggiormente slegato dagli interessi di parte? Auguriamoci che questa volta il passaggio parlamentare serva a rimuovere qualche contraddizione e a rafforzare il principio di base.
*Carlo Scarpa è professore ordinario di Economia Politica presso l’Università di Brescia, dove ha tenuto corsi di Economia politica, Economia industriale e Politica della concorrenza. Si occupa di problemi di economia e politica industriale, con particolare riferimento a temi di antitrust e alla regolazione di servizi di pubblica utilità, soprattutto nei settori dell’energia e dei trasporti.