La finale sarà tra i primi due al mondo. Djokovic favorito, magari in 4 set, ma col 55-60%. Nadal è Nadal, superficie e palline sono finto-veloci e Nole può essere stanco.
Ora un passo indietro. L’articolo di ieri ha avuto un prevedibile successo numerico di commenti. Ci avrei scommesso la casa (di Luigi Amicone). Era un pezzo ovviamente ironico e ovviamente esagerato (a partire dal titolo. Nadal non ha salvato il tennis: ha interrotto la Dittatore Buonista del Re Pinolo).
Al netto degli strali dei federasti, prevedibili come un assist sbagliato di Oddo o un errore sotto porta di Robinho, vorrei partire da una lettera ricevuta da un appassionato, Massimo Garlando: “Non abbraccio e non gioisco, perché uno o l’altro non mi fa differenza, né oggi né in finale. Il tennis si salverà quando non sarà più monopolio di collezionisti di record, palestrati o robottini (e quando l’unica alternativa vagamente credibile non sarà più quella allenata dall’innominabile che copre le telecamere con l’asciugamano). Quindi (almeno nel breve periodo) non si salverà. Ma chissenefrega, noi ci consoleremo con le eroiche gesta dei figli di dio minore, quelli cui manca sempre un sei per fare primiera; e pazienza se gli Slam finiranno, inesorabilmente, agli ottavi (nella migliore delle ipotesi)”.
Condivido in gran parte (c’è bisogno di scriverlo? Perché essere didascalici? Non vi bastano gli editoriali di Pigi Battista?). Accontentarsi della nicchia è però frustrante. Il beautiful loser dovrebbe, ogni tanto, divenire beautiful winner. E osservare anche i big, i Fab (non) Four è a mio avviso “doveroso” se si ama il tennis.
Certo, osservarli non vuol dire tifarli. E qui viene la parte che più mi preme. Il concetto, fascista e meschino, che per dieci anni ha messo in scacco la comunicazione tennistica: la Obbligatorietà di tifare Federer. Per decreto regio, lo si doveva tifare. Perché? Perché Roger (sempre da pronunciare come un’orazione: “R-o-g-e-r”) è classico, è marziale, è corretto (quando vince), non sposa le veline (è un pregio?), va a rete (seeeeh: 8 anni fa, forse), piaceva a David Foster Wallace ed è contrario all’occhio di falco (è contrario alla moviola per motivi asimoviani: in quanto robot, non accetta che in campo ce ne sia un altro. E’ gelosia tra microchip, non fatto etico). Siamo stati costretti a leggere articoli pallosissimi. Su Sky, Massimo Marianella esala commenti zuccherosi chiamandolo “Il Re Roger e la Principessa Maria” (Sharapova). I telecronisti erremosciati Eurosport si rapportano a lui come Fede con Berlusconi (con la differenza che Fede è conscio della propria faziosità). E la Rete è piena di adolescenti eterni che, lividamente, lo incensano.
Tutto questo ci porta a una riflessione filosfica, di chiaro stampo hegeliano: che due maroni. Non tifo nessuno dei primi 4. Sia perché il tifo è una malattia, sia perché non mi appassionano. Se fossero un partito politico, Djokovic sarebbe il Pdl, Murray la Lega, Nadal Casini. E Federer il Pd (un Enrico Letta che tifa Inter e ride con la Littizzetto per sentirsi di sinistra). E’ ovvio che Federer sia più “bello”. Ovvio. Ho amato McEnroe, Edberg, Cash, Korda, Rafter. Ma Federer non ne è erede. Al massimo è continuazione asettica del dittatore lungolinguato Sampras. Federer piace a chi si accontenta della retorica, delle apparenti buone maniere, dell’approccio finto bipartisan. Piace a chi cita i grandi scrittori (DFW) senza averli letti. Piace a chi ama il progressive, i vini supertuscans.
E’ fortissimo, Federer. E geniale, oltremodo. Chi lo nega? Ma è anche algido, privo di carisma, infantilmente ancorato al feticcio dei record. Non gioca per divertire: gioca per mostrare che ce l’ha più lungo. Il suo non è gesto bianco: è onanismo. Ecco perché Nadal (il “meno peggio”) ha catalizzato attenzioni: perché lotta, soffre. Perché sembra umano. L’opposto del Ghiacciolone. Anche Edberg era “tacchino freddo”, ma Edberg aveva ben altre frecce: non era un dittatore efferato; ha avuto avversari veri (non come Federer, che tra il 2003 e l’avvento di Nadal ha giocato da solo); aveva un gioco molto più romantico; non era asettico, bensì mostruosamente fragile.
Io accetto, eccome, che Federer piaccia. E’ lapalissiano che l’anti-federastismo sia un gioco. Ma non accetto l’obbligo regio di tifarlo. E nemmeno il postulato tonto secondo cui il tennis è “solo” Federer. Roger (anzi: R-o-g-e-r) è un secchione di talento, uno yuppie di successo col complesso edipico della moglie matrona. Federer è il Martone del tennis. E io preferisco gli sfigati. Di talento, di cuore. Ma sfigati.
(Nella foto Novak Djokovic, LaPresse)