Chi sostiene che il rock è morto non ha fatto i conti con Il Mondo Nuovo, il nuovo album de Il Teatro degli Orrori in uscita il 31 gennaio, che arriva dopo il clamoroso successo di A Sangue Freddo, uscito nel 2009, capace di portare alla ribalta le gesta di una band indubbiamente fuori dalle convenzioni. Chi conosce il percorso artistico del gruppo veneziano sa che non hanno mezze misure. La strada fin qui tracciata li conduce nei sentieri rassicuranti della musica di qualità, concepita attraverso un suono potente e intrigante, abilmente contrapposto ai contenuti romantici dei testi.
Pierpaolo Capovilla e soci ripartono dalla consapevolezza di essere una delle attuali figure di riferimento del rock “made in Italy”. Il Mondo Nuovo è “un disco a concetto” e offre uno sguardo lucido e disincantato dei giorni nostri: sedici istantanee come “piccole biografie” in cui a svelarsi sono proprio i contrasti ineluttabili dell’esistenza. Lontananza, solitudine, desolazione, si riflettono nei bagliori improvvisi elargiti dalla speranza. Ma è solo un’illusione, la luce serve soltanto per illuminare a giorno il mondo in cui viviamo e, nella fattispecie, l’Italia dell’oggi.
A conti fatti il disco è inevitabilmente politico, le traiettorie che lo dirigono sono manifeste e si mescolano tramite le consuetudini che regolano – da sempre – le dinamiche del quartetto. In ambito letterario sono infatti diverse le citazioni per così dire “alte”: da Essenin a Céline, passando per Stratanovskij e Brodskij, senza dimenticare i versi di Rimbaud, arruolato per decodificare le strategie di Adrian il sicario (canzone scritta insieme all’amico Marco Catone).
Le caratteristiche narrative, divenute un vero e proprio marchio di fabbrica, trovano la massima esposizione in Ion, canzone d’amore nella quale si cela la tragedia di Ion Cazacu, operaio rumeno “ucciso dal fuoco” a seguito di gravi ustioni, nel 2000, a Varese.
In ambito musicale – invece – a permeare la cifra stilistica del gruppo sono le declinazioni vicine al rock contemporaneo e agli sviluppi in parte recenti ad esso collegato. L’opera – in verità – risente del desiderio e soprattutto dell’ambizione di esplorare territori nuovi e diversi: le canzoni inducono a pensare che siano state concepite immaginandole nel senso e nella direzione di una dialettica fra musica e parole, con lo scopo di generare evocazioni inedite.
Spazio anche alle rivisitazioni “e non alle cover” come tiene a specificare Capovilla: Doris – canzone degli Shellac – rivive nel disco in omaggio alla band di Chicago. Ed è proprio questo tipo di operazione che crea il fil rouge con gli esordi; basti pensare a Dio Mio, pezzo in grado di rivisitare Eyeball degli Scratch Acid, non a caso band storicamente attigua agli Shellac.
La terza fatica full-lenght de Il Teatro degli Orrori è una dichiarazione d’intenti; settanta minuti di “nuovo rock italiano” sono sufficienti per risvegliare le coscienze di chi sostiene che la musica sia in crisi: Il Mondo Nuovo dimostra che rock e poesia possono felicemente sposarsi, generando anzi un connubio da cui è possibile far nascere un album qualitativamente ineccepibile e, al contempo, distante dalle noiose abitudini che regolano l’asfittico panorama musicale odierno.