Immigrazione, investimenti, colonie sulla luna. Si sono attaccati praticamente su tutto, Mitt Romney e Newt Gingrich, nell’ultimo dibattito televisivo prima del voto in Florida. L’appuntamento, trasmesso in diretta da Jacksonville, ha concluso una giornata particolarmente tesa, in cui i due candidati, nel corso di comizi e incontri nel Sunshine State, sono arrivati a mettere in discussione la reciproca onestà politica e personale. La posta in palio è alta. La Florida consegnerà al vincitore 50 delegati, ma soprattutto uno slancio probabilmente decisivo verso la nomination.
Gli ultimi sondaggi danno Romney in vantaggio (secondo “Rasmussen Reports”, l’ex-governatore del Massachusetts si attesta al 39%, Gingrich al 31%). Ma un sondaggio su base nazionale, condotto dal Wall Street Journal e da Nbc, mostra Gingrich in forte ascesa: al 37% dei consensi, contro il 28% del rivale. Il vantaggio conquistato nelle ultime ore dall’ex-speaker della Camera ha costretto Romney a rinunciare al tono distaccato di precedenti dibattiti televisivi e a mostrarsi aggressivo, determinato, pronto all’affondo.
Lo scambio di accuse più acceso è venuto quando Gingrich ha detto che Romney è “contro l’immigrazione” (un’affermazione particolarmente pericolosa in uno Stato con una vasta popolazione ispanica). “Non sono contrario – ha risposto l’ex-governatore del Massachusetts. Mio padre è nato in Messico. Non usare con me un termine come questo”. La tensione tra i candidati è riemersa quando Gingrich ha di nuovo attaccato Romney per i suoi investimenti in Fannie Mae, Freddie Mac e Goldman Sachs, “che sta oggi requisendo le case dei cittadini della Florida”, ha detto Gingrich. “Mr. Speaker, controlla i tuoi investimenti – gli ha risposto Romney – Anche tu hai investimenti in fondi che a loro volta investono in Fannie Mae e Freddie Mac”. Al che Gingrich, scuro in volto, ha sibilato un “Ok, va bene”.
Nelle decine di dibattiti dei mesi passati, l’ex-speaker della Camera aveva mostrato ben altra forza, lucidità, capacità di attaccare le debolezze degli avversari con battute feroci e sarcastiche. Ieri sera non gli è andata così bene. “La performance di Gingrich non è stata autorevole come nei dibattiti in South Carolina”, ha scritto il Washington Post. Del resto, per lui, sono ore particolarmente difficili. La valanga di spot che Romney sta facendo girare in Florida rischia di far affondare la sua candidatura (come già successo, alcune settimane fa, in Iowa). “Restore Our Future”, un gruppo politico pro-Romney, martella in queste ore le Tv dello Stato con una pubblicità che mette in dubbio la vicinanza di Gingrich a Ronald Reagan: “Reagan rifiutò le idee di Newt. Per quanto riguarda leadership e carattere, Gingrich non è Ronald Reagan”.
Ancora più pericoloso, per Gingrich, è però il fuoco di fila venuto dall’establishment repubblicano e conservatore. Nelle ultime 24 ore, alcuni tra i più conosciuti e influenti rappresentanti della destra di Washington sono intervenuti contro la sua candidatura. Secondo un articolo di Elliot Abrams, per National Review, Gingrich avrebbe “una lunga storia di critica e opposizione alle politiche più innovative di Reagan”. E per Tom DeLay, già assistente di Gingrich durante la “rivoluzione repubblicana” di metà anni Novanta, “l’ex-speaker non è un vero conservatore. E’ di un’abilità sopraffina, proprio come Clinton, quando si tratta di sentire la sofferenza del suo pubblico, di sapere cosa vuole, di infiammarlo. Ma, da speaker della Camera, era imprevedibile, privo di disciplina”.
Egocentrico, imprevedibile, indisciplinato. Sono queste le accuse che hanno rincorso Gingrich nelle ultime ore, e che verranno con ogni probabilità rilanciate prima di martedì. L’establishment repubblicano ha da tempo scommesso su Romney e teme Gingrich, che fu costretto alle dimissioni da speaker della Camera, nel 1998, per i continui contrasti con il suo partito (e per le accuse di “comportamenti non etici”, che portarono anche a una censura). Il Gop è preoccupato soprattutto per la radicalizzazione dello scontro, per la frattura tra élite di Washington e base. “Tea Party contro cocktail party”, hanno scritto molti giornali, sottolineando il divario che si sta creando tra le diverse anime repubblicane.
A favore di Romney c’è la dirigenza del partito, i moderati, la borghesia medio-alta. Attorno a Gingrich si raccoglie il popolo repubblicano, la base operaia, quella delle aree agricole, il Tea Party e i conservatori religiosi. Oltre ai temi tradizionali di questi giorni (con il ritorno, implacabile, della questione della ricchezza personale di Romney, che ha rivendicato orgogliosamente il suo status e i benefici del capitalismo: “In questo paese non castighiamo il successo. Mi sono guadagnato quello che ho”, ha detto), il dibattito di ieri ha introdotto alcune novità. Come la questione della lingua, particolarmente sentita in uno Stato con una forte popolazione ispanica. “Non ho mai detto che lo spagnolo è il linguaggio del ghetto”, ha detto Gingrich, rispondendo a un’accusa del rivale. Romney, da parte sua, ha bollato come “non una buona idea” la proposta di di Gingrich di creare una “base permanente sulla Luna”. “Se Gingrich lavorasse per me – ha detto – e proponesse di spendere centinaia di milioni di dollari per le colonie nello spazio, lo licenzierei”.
Stretti tra i due favoriti, Rick Santorum e Ron Paul hanno faticato a trovare spazio e attenzione da parte dell’intervistatore, Wolf Blitzer di Cnn. Santorum, che rimane in corsa sperando di ereditare i voti conservatori di Gingrich (nel caso questo uscisse di scena), ha indicato la madre di 93 anni, presente in platea, come testimonianza dell’ostinata caparbietà di famiglia, e ha affermato di aver raccolto, nelle ultime settimane, “più finanziamenti che negli ultimi nove mesi”.
Quanto a Ron Paul, suoi sono stati i momenti più spiritosi e intelligenti della serata. Come quando ha affermato che “la sanità è più importante dell’esplorazione spaziale. Non dovremmo andare sulla luna, ma potremmo mandarci alcuni politici”. O come quando, in risposta a una domanda sulla sua età avanzata (ha 76 anni), ha risposto sfidando gli altri candidati a una gara “di 25 miglia in bicicletta”. Paul non ha preteso, durante il dibattito, di essere davvero competitivo in Florida, dove non ha organizzato un solo evento elettorale né speso un singolo dollaro in pubblicità.
Lo Stato ha del resto un sistema “winner-take-all” (il vincitore porta a casa tutti i 50 delegati), che mal si adatta alla strategia di Paul. Il candidato guarda ai prossimi appuntamenti, in Maine e Nevada soprattutto, dove la sua ideologia libertaria è destinata sicuramente a maggior fortuna. Il dibattito di ieri, in Florida, è servito allora a ribadire i punti del suo programma, particolarmente gradito alle fasce più giovani di elettorato repubblicano: politica monetaria conforme alla Costituzione, parità aurea, Stato minimo, non-interventismo in politica estera.