Cultura

‘L’impero della cocaina’ dalla Colombia alla Calabria, viaggio nel traffico dell’oro bianco

L'inchiesta firmata da Andrea Amato segue la filiera di produzione dalla foglia di coca partendo dal Sudamerica fino ad arrivare a Milano, “la città più drogata dell'Unione Europea con 180mila consumatori abituali”. Passando per Platì, capitale della 'ndrangheta che controlla il narcotraffico

di Eleonora Bianchini

C’è un filo rosso che lega la Colombia alla Calabria. A tesserlo è la ‘ndrangheta, un potere criminale “feroce, ricchissimo, efficiente e ormai globalizzato” che è il partner della ‘Coca connection’ internazionale insieme ai narcos di Bogotà. “L’Impero della cocaina” (Newton Compton editori), inchiesta firmata da Andrea Amato, direttore dei contenuti di 101, è un “viaggio in presa diretta nel traffico dell’oro bianco” che segue la filiera di produzione dalla foglia di coca in Sudamerica fino a Milano, “la città più drogata dell’Unione Europea con 180mila consumatori abituali”.

Amato racconta l’assalto di una raffineria nella giungla colombiana, dove “l’ideologia marxista si è assimiliata al capitalismo del narcotraffico” a arriva fino a Platì in Aspromonte che, oltre a essere “comune con il tasso di natalità più alto d’Italia, ma anche quello con il reddito pro capite più basso”, è la culla della ‘ndrangheta. “ I momenti più rischiosi sono stati tre – ricorda l’autore – il primo nella foresta colombiana, dove ci siamo trovati nel mezzo di una una guerriglia durante un’operazione di polizia. Poi i viaggi in Calabria e infine quando ci siamo infiltrati a comprare cocaina in viale Bligny a Milano con le telecamere nascoste”. I narcos preferiscono fare affari con i calabresi perché “garantiscono impeccabilità e invisibilità, altro che siciliani e camorra”. Hanno imparato dai morti di Cosa Nostra a dosare il sangue, perché, come spiega il sostituto procuratore della Direzione distrettuale Antimafia di Catanzaro Salvatore Curcio, la ‘ndrangheta “non ammazza mai per il gusto di farlo. Uccide solo se è funzionale al suo business” e l’assenza di pentiti rende i suoi uomini soci affidabili e discreti.

Il risultato? Miliardi di euro riciclati ogni anno in paradisi fiscali, oltre che ristoranti, strutture alberghiere ed esercizi commerciali. Eppure, puntualizza il Procuratore antimafia Piero Grasso intervistato nel libro, nonostante gli immensi capitali la criminalità organizzata “guadagna e affama la sua gente” e “di quella montagna di soldi il sud non ne vede neanche le briciole”. Infatti le cosche “investono lontano da casa loro per non avere pressioni ambientali e perché i guadagni sono superiori”. Milano, ad esempio: è lì che Amato si finge cocainomane ed entra in contatto con gli spacciatori di Viale Bligny 42, uno stabile che è un “supermarket di coca”. Situato in centro città e a due passi dalla Bocconi, “rifornisce da anni clienti di tutte le età e di tutte le tipologie umane”. Perché non parliamo più di una droga elitaria, e con 70 euro si compra un grammo. “Le generazioni più giovani – spiega Amato – non si pongono il problema della filiera dietro la sniffata”. Quel che ha stupito l’autore è la “trasversalità delle generazioni e dei ceti sociali nell’uso della cocaina” che, a differenza di altre sostanze, “è una droga prestazionale e il suo consumo così diffuso evidenzia il sentimento di inadeguatezza rispetto agli standard della società di oggi che ti vuole più ricco, più veloce, più bello degli altri”.

Un mercato che in Europa trova l’incontro tra domanda e offerta visto che “circa il 3% della popolazione europea consuma cocaina abitualmente” e dove i Servizi tossicodipendenze (Sert) del capoluogo lombardo hanno una lista d’attesa di circa tre mesi perché “secondo l’Asl, un milanese su tre sniffa cocaina”. L’oro bianco arriva in Europa attraverso sommergibili non intercettabili dai radar e il 25% viaggia negli stomaci dei ‘muli’, persone che fungono da “service del traffico internazionale di cocaina” e che “riescono a ingerire fino a due chili di cocaina”.

Ma il problema va oltre l’asse tra Colombia e Mezzogiorno italiano e l’errore più grande è “pensare che la ‘ndrangheta, che opera come una multinazionale, sia un problema esclusivamente legato alla Calabria. Perché i loro uomini sono anche nelle istituzioni e dietro le scrivanie dei noti palazzi”.

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