Un “serpente”, un “orditore di imbrogli”, un “golpista”, un uomo che attraversato “tutti i miasmi della politica” e che “ha maneggiato fondi neri”. Questo era Oscar Luigi Scalfaro secondo Silvio Berlusconi. Scalfaro e Berlusconi, due mondi opposti, due visioni incompatibili della politica e delle istituzioni che si sono scontrate in momenti delicati della seconda Repubblica. E nel giorno della morte dell’ex presidente, il leader del Pdl è l’unico politico di primo piano che non abbia speso una parola, neppure di circostanza, in suo ricordo.
Sono stati due i momenti di massimo scontro tra l’imprenditore della tv “sceso” in politica e il democristiano degli anni Cinquanta vissuto nel culto delle istituzioni. Il post 1994, quando la Lega fece cadere il primo governo Berlusconi e Scalfaro, presidente della Repubblica, trovò una nuova maggioranza in Parlamento invece di indire nuove elezioni, come richiesto dal centrodestra. E i due anni tormentati del secondo governo di Romano Prodi, nel 2006-2007, quando alcuni senatori a vita – Scalfaro tra loro – sostennero un esecutivo privo di una maggioranza solida a Palazzo Madama.
Dopo il “tradimento di Bossi”, Berlusconi e il centrodestra volevano tornare alle urne, nella speranza di ripetere il successo del 1994 anche senza l’alleanza con la Lega. Come prevede la Costituzione, Scalfaro scelse invece di esplorare la possibilità di una nuova maggioranza e, nel gennaio del 1995, diede l’incarico di formare un governo tecnico a Lamberto Dini, che durò fino al 1996 con i voti del centrosinistra e del Carroccio. Così si innescò lo scontro tra la Costituzione in vigore e la “Costituzione materiale” che albergava nella mente del Cavaliere. Secondo la quale il popolo elegge direttamente il capo del governo e al popolo bisogna tornare se quel governo cade. Di conseguenza, sosteneva il leader di Forza Italia, Scalfaro era colpevole di “eversione” (della costituzione berlusconiana).
“Scalfaro è un serpente, un traditore, un golpista”, affermava Berlusconi (La Stampa, 16 gennaio 1995). Il presidente della Repubblica “andrebbe processato davanti all’Alta Corte per attentato alla Costituzione”. Per quale colpa? “Ha maneggiato fondi neri (riferimento alla vicenda Sisde, che per Scalfaro si concluse con un’archiviazione, ndr) e, da magistrato, ha fatto fucilare una persona invocandone contemporaneamente il perdono cristiano”, spiegava. “Be’, l’uomo è questo. Ha instaurato un regime misto di monarchia e aristocrazia” (18 gennaio 1995). Il refrain del Parlamento “illiberale e liberticida” (10 marzo 1995), “caricatura della democrazia” (28 marzo 1995) divenne un cavallo di battaglia del centrodestra, fatto proprio anche dall’allora segretario di Alleanza nazionale Gianfranco Fini, sia pure con toni più moderati. Filippo Mancuso, ministro della Giustizia del governo Dini passato a Forza Italia dopo aver innescato feroci polemiche con il pool Mani pulite, davanti alle telecamere definì Scalfaro “un infame”.
VIDEO: IL PRESIDENTE SCALFARO SECONDO BERLUSCONI E I BERLUSCONIANI
Un’antipatia reciproca. Scalfaro è sempre stato un fiero antiberlusconiano. In un incontro pubblico, anni dopo la fine del mandato presidenziale, il senatore a vita ha ricordato quando bocciò il nome di Cesare Previti, comparso come ministro della Giustizia nella lista che Berlusconi gli presentò dopo la vittoria elettorale del 1994. Perché chiese di depennare l’allora avvocato di Berlusconi, condannato molti anni dopo per corruzione in atti giudiziari? “Per istinto”, ha spiegato Scalfaro con un sorriso eloquente. Berlusconi, di rimando, gli riservò un rotondo “vaffa”, rimasto impresso agli atti del Senato il 27 settembre 2002, dopo che Scalfaro aveva accusato il governo presieduto dal cavaliere “di servilismo” verso gli americani a proposito dell’annunciata guerra in Iraq.
La polemica si infiammò di nuovo all’epoca del secondo governo Prodi, quando Scalfaro era uno dei senatori a vita che che sostenevano il professore a corto di voti. Anche in questo caso, per la Costituzione vera i senatori a vita possono votare come meglio credono, ma secondo la Costituzione materiale berlusconiana – fatta propria dal centrodestra in blocco – in quanto non eletti dal popolo non avrebbero dovuto fare da “stampella” a un esecutivo claudicante. E pazienza se lo stesso Berlusconi aveva beneficiato del loro sostegno nel 1994, quando al Senato poteva contare soltanto su 155 voti su 315, senza che nessuno sollevasse scandali.
Quando il governo Prodi si presenta a Palazzo Madama per chiedere la fiducia, il 19 maggio 2006, la discesa degli anziani senatori a vita verso l’urna al centro dell’emiciclo è accompagnata da urla, fischi e insulti dalla «curva» del centrodestra. Prodi ottiene la fiducia con il voto favorevole di sette senatori a vita, che peraltro non risultano determinanti. Il Cavaliere commenta: “I senatori a vita hanno fatto qualcosa che era profondamente immorale secondo la coscienza della nostra parte politica”. Il loro voto è caratterizzato da “mancanza di dignità” (25 luglio 2006).
Nulla tra lui e il popolo. E’ la convinzione profonda di Berlusconi, più volte ribadita. Quando la corte costituzionale, il 6 dicembre 2009, bocciò il Lodo Alfano sull’immunità delle più alte cariche dello Stato – presidente del consiglio compreso – il leader del centrodestra lamentò l’inopportuna esistenza di un organismo capace di bocciare leggi scaturite dalla “sovranità popolare”. E aggiunse che “purtroppo” l’Italia ha avuto “tre presidenti della Repubblica consecutivi tutti di sinistra”.