Brivido, terrore, raccapriccio!! Ieri sera navigavo quietamente in rete quando d’improvviso mi imbatto in una notizia sensazionale, di quelle che ti cambiano la serata. “Laureati fuori-corso e bamboccioni costano parecchi miliardi di euro”, e subito sotto: “I conti dicono che la spesa per lo Stato è di 12 miliardi l’anno”.
12 milardi di euro? E’ una cifra enorme! Con quei soldi ci si potrebbe togliere lo sfizio di costruire un ponte di Messina all’anno e avanzerebbero ancora soldi per quadruplicare l’investimento pubblico in ricerca e innovazione in Italia. Oppure, si potrebbe regalare 10 mila euro l’anno ad ogni studente universitario in corso in Italia: ricchi, poveri, ghepardi, bradipi, padani o extraterrestri che siano! Ma è possibile che per risparmiare una simile fortuna sia sufficiente sterminare i fuoricorso??
La risposta è ovviamente no, anzi: il fatto che i fuoricorso gravino sulle casse dello stato è una leggenda metropolitana. Il numero, le dimensioni e quindi le risorse “consumate” dai corsi di laurea dipendono dal numero degli studenti che si immatricolano, e non dal tempo che impiegano a laurearsi. I fuoricorso di norma seguono ciascun corso e/o laboratorio una volta sola, esattamente tanto quanto i regolari: non ripetono l’anno come al liceo, ma semplicemente diluiscono (per i motivi più vari) nel tempo la loro carriera universitaria.
La loro laurea costa quindi alla collettività praticamente la stessa cifra di quella di uno studente regolare: forse alcuni affolleranno un po’ più a lungo le aulette studenti (dove ci sono), ma pagano più a lungo le tasse (spesso maggiorate!) per ottenere il medesimo “servizio”: gli unici che ci rimettono sono loro. Anche se tutti i fuoricorso venissero internati in campi di rieducazione ad edificare monumenti equestri a Martone il fustigatore non si risparmierebbe un bel nulla.
Ma allora da dove viene fuori questa cifra assurda? Per farcela sono richiesti due passaggi e una fantasia al limite del lisergico.
Il primo è di una semplicità assoluta. Si prende il costo medio per studente, lo si moltiplica per il numero degli studenti fuoricorso (un terzo, secondo i loro dati) e si definisce il risultato “euro bruciati”. Due numeri, un’operazione aritmetica, una definizione: ecco che compaiono magicamente i primi 4,4 miliardi di euro “sprecati”, un terzo delle risorse.
Il secondo invece è meno elegante: dati a casaccio, senza fonte. Si afferma che su 290.000 laureati ben 215.000 (il 75%) sono “all’estero o disoccupati”: necessariamente ne consegue che i tre quarti delle lauree sono sprecate. Il database Almalaurea afferma però il tasso di disoccupazione a tre anni dalla laurea è del 7.1%, quindi se Repubblica ha ragione altro che fuga dei cervelli, qui c’è stato un esodo di proporzioni bibliche: quasi 7 laureati italiani su 10 sono all’estero e non se n’è accorto nessuno!
Dulcis in fundo, i tre quarti “calcolati” in fase due vengono elegantemente sommati al terzo “calcolato” in fase uno e totalizziamo così un record mondiale: sprechiamo ancora più soldi di quanti ne investiamo, un euro e 8 centesimi per ogni euro: maledetti fuoricorso!
Un dubbio mi assale: e se gli unici soldi sprecati fossero quelli che hanno pagato gli studi all’ineffabile matematico di Repubblica?