Giovedì 26 gennaio, a poche ore dal blitz contro il movimento NoTav che ha portato in carcere 26 persone in diverse città italiane, il Procuratore Capo di Torino, Giancarlo Caselli dichiara: “Di che cosa vi lamentate? Non è un’operazione contro la Valle perché solo tre persone sono valsusine, le altre vengono da altre città”. Un ingenuo potrebbe chiedere: “ma i numerosissimi militari che da mesi soggiornano in Val Susa, sono per caso dei valsusini pronti a difendere armi in pugno la Tav? Non verranno mica da altre città d’Italia?” Beata Ingenuità.
Il movimento NoTav vive da più di un decennio questa duplice e contraddittoria accusa: da un lato quella di essere un movimento “Nimby” (acronimo di “not in my back yard”) che mira solo a difendere il proprio orticello, dall’altro quando la solidarietà e le rivendicazioni sono portate da altre persone di diversa provenienza geografica, si imputa a questi soggetti la loro estraneità alla Valle confondendo (volontariamente) una connotazione geografica con una critica politica e sociale che trascende la specificità geografica per colpire l’idea che sorregge il progetto Alta Velocità. Questa idea critica ha permesso di travalicare i confini della valle e di collegarsi in questi anni con i diversi movimenti a difesa dei beni comuni (dall’acqua alla casa, dai movimenti aquilani a quelli contro gli inceneritori solo per citarne alcuni).
L’operazione poliziesca “Sì Tav” è anzitutto un potente messaggio politico, un messaggio mediatico. È rivolto, oltre che al movimento, all’intero paese. Si vuole dare una rappresentazione della lotta che ottenga l’obiettivo che la schiera di giornalisti mainstream non è finora riuscita ad ottenere: rendere i No Tav distanti e invisi alla massa dei telespettatori/elettori/consumatori.
Questa manovra mira a creare una rappresentazione secondo cui, dietro a una “etichetta”, No Tav, esiste una rete nazionale di oppositori ideologici, estremisti, slegati dalla Valle e perfetti nel ruolo di “nemico pubblico” dello Stato, alle prese con una crisi economica e sociale che mostra, giorno dopo giorno, la sua profondità. La crisi della rappresentanza è stata ben esemplificata proprio giovedì sera dall’operaio sardo che, nella trasmissione di Santoro, manda a quel paese l’ex-ministro Castelli accusato, insieme all’intera classe politica, di aver mandato in rovina l’Italia rompendo il patto generazionale tra padri e figli.
I mezzi d’informazione sono stati ben attenti a qualificare gli arrestati non come semplici appartenenti al movimento No Tav, ma come “antagonisti No Tav”: non quindi una parte del movimento, ma una sua frangia estrema e marginale. Un’operazione da “divide et impera” condotta in maniera esemplare a cui il movimento risponde immediatamente respingendo questa visione caricaturale, come aveva respinto quest’estate tutta la retorica sui “black bloc” dicendo nei cortei successivi al 3 luglio, “Siamo tutti black bloc!”. Venerdì una partecipatissima fiaccolata a Bussoleno e sabato un altrettanto partecipato corteo a Torino a dimostrare la compattezza e la determinazione di questo movimento. Senza dimenticare le numerose azioni in solidarietà agli arrestati che si sono svolte fin da subito in diverse città italiane.
La lotta NoTav è tanto importante quanto più si inserisce nella critica del modello neoliberista di cui il governo Monti è ultimo difensore, nel suo paradossale tentativo di arginare la crisi del neoliberismo rendendo l’Italia ancora più liberista. Chi crede in un altro modello di sviluppo fondato sull’accesso e la difesa dei beni comuni e sui diritti sa da che parte stare.
Sarà Düra!