Celebrato su Twitter, pianto ovunque dal popolo della sinistra. Omaggiato da funerali affollati, in cui il centrodestra diserta platealmente. Inseguito fin nella tomba dal silenzio assordate del suo grande nemico, Silvio Berlusconi. Anche la morte di Oscar Luigi Scalfaro, dunque, ci consegna un enigma, nel tempo dell’Italia divisa, un dilemma che è interessante sviscerare, per capire qualcosa di più non solo su di lui, ma anche sulla stagione che stiamo attraversando. Amintore Fanfani (avversario sarcastico degli scelbiani come lui) diceva perfido: “Scalfaro è un tacchino che fa la ruota 24 ore al giorno” (L’ex presidente rispose gelido a Claudio Sabelli Fioretti, solo 20 anni dopo: “Non mi risulta”).
Un grande amico-nemico come Marco Pannella lo spinse sul Colle con una definizione seducente e pop: “Oscar Luigi è un Pertini cattolico”. Il nemico berlusconiano, Filippo Mancuso sentenziò sprezzante: “È una grande meretrice circassa”. Uno scrittore come Stefano Benni lo punzecchiava dalle colonne de Il Manifesto: “Oscar Luigi Goretti”. E lui stesso rispondeva in modo sublime ai missini che lo insultavano, nel 1992, da presidente della Camera scandendo in coro: “Imbecille, Inbecille…”. Era impassibile, Oscar Luigi: “Onorevoli colleghi, non è il caso di divulgare il proprio cognome…”. E si potrebbe almanaccare per ore, perché Scalfaro nella sua vita suscitava solo odi o amori, e in ogni caso sentimenti radicali. Era un integralista, questo sì. Anche se l’ex presidente negava in punta di dottrina cattolica questa definizione: “L’integralismo è presunzione. Un cristiano deve essere umile”.
Non c’è dubbio che ci fossero Scalfaro il grande conservatore, ma anche Scalfaro il “girotondino”, Scalfaro il difensore dalla Costituzione, quello che sventola la maglietta rossa della Cgil, e l’antiberlusconiano doc, l’esaltatore delle regole, ma anche il moralista degli anni Cinquanta, e il ministro degli anni Ottanta con qualche nostalgia per la celere, e poi però Scalfaro pacifista negli anni Novanta, ma anche – come vedremo – l’uomo di Stato non alieno alla cultura dell’Omissis. Il fatto è che nei tempi del bipolarismo feroce si è perso il senso delle sfumature e delle contraddizioni: vincono solo le dominanti, e ogni racconto non lineare diventa caricatura, al punto che la semplicità della mitografia si sostituisce alla complessità della biografia. Ecco perché – in modo speculare e opposto a quello di Francesco Cossiga – è interessante ripercorrere i tanti Scalfaro che l’Italia ha conosciuto in 70 anni di politica.
Quello oggi più vivido, è lo Scalfaro che duellava con il Cavaliere denunciando fra gli applausi della sinistra: “Dal 1992 a oggi c’è stato un abbassamento della soglia etica”. Oppure: “Berlusconi? È uno che comanda. Ai giovani dico: non state a guardare!”. Ai suoi colleghi parlamentari tirava le orecchie: “Pensate a chi non mangia, non ai processi di un uomo solo!”. Primo problema metodologico: erano i liberali e i movimentisti che lo scoprivano, o era lui che cambiava? Entrambe le cose. Gli antiscalfariani forse salteranno sulla sedia rileggendo quello che Oscar Luigi disse ai tempi del caso Englaro, nel pieno della guerra di religione in cui moti presunti laici ammutolivano: “Basta con le sentenze degli zuccotti rossi!” (ce l’aveva – era il 2009 – con l’invadenza dei cardinali). Era efficacissimo anche il racconto del tête-à-tête con Berlusconi del 1994: “Mi disse: ‘Voglio Previti alla giustizia perché è mio avvocato’. Gli rispose: ‘Proprio per questo non lo ritengo sostenibile’”. Ancora più bello il racconto di un altro rifiuto: “In cambio dello scioglimento, nel 1995, Berlusconi mi prometteva un altro settennato tranquillo. Dissi di no!”. Anche dopo aver lasciato il Colle tuonava sul suo successore, nel 2004: “Ciampi non può controfirmare la riforma della giustizia”. Tutto lineare? No. Perché lo stesso Scalfaro, nello stesso anno mostrava qualche reticenza nel parlare della trattativa Stato-mafia: “Temo che non sapremo mai la verità sugli attentati”. E ancora, in un’altra intervista: “A chi insiste sulla vicenda del famoso papello, sul quale Riina avrebbe scritto le condizioni di Cosa Nostra, l’unica risposta possibile deve essere di assoluta cautela”. Marzio Breda sul Corriere gli chiedeva: “Ci fu il negoziato?”. E lui, arrampicandosi un po’: “Bisogna stare attenti a non superare il confine tra vero-verosimile e falso”.
Nel 1989 alla Camera calò il silenzio quando fustigò i democristiani che cercavano di dissociarsi dal manager Lodovico Ligato, assassinato a pistolettate davanti a casa a Reggio Calabria: “Ricordatevi che Ligato è un nostro uomo! Non è pensabile che noi prendiamo le distanze da lui”. In quell’anno Scalfaro il conservatore combatteva (e non poteva essere altrimenti) le droghe leggere: “É un fatto giusto dare un crisma di illiceità al consumo di stupefacenti”. Eppure nulla gli impedì un solenne endorsement “girotondino” propiziato da un futuro editorialista di questo giornale: “Una volta Flores d’Arcais mi invitò a parlare a quelli che non vivono nei partiti e io dissi: ‘Andrei da ciascuno di quelli che scendono in piazza a dire gvazie-gvazie-gvazie che vi occupate della cosa pubblica! ‘”. E poi c’era la guerra con Mediaset (“C’è su di me una strategia del silenzio…”) e il duello infinito con Striscia, il cui inviato, Valerio Staffelli, voleva consegnargli la minuta di un suo pagamento con i fondi del Sisde e poi una lettera di raccomandazione firmata da lui. Fu picchiato dalla scorta, e l’ex presidente sfoderò un grande talento minimale: “È lui che è caduto per terra…”.
Nel 1983, però, aveva difeso, da ministro dell’Interno, l’intervento sui pacifisti a Comiso: “La polizia non può stare a guardare”. Due mesi dopo aveva minimizzato le trame nere: “Un pericolo di golpe di destra, in Italia, non c’è mai stato”. Ma ai tempi della guerra dell’Iraq era salito sul palco del teatro Vittoria a recitare l’articolo 11, e esaltato il papa così: “È lui il più grande pacifista”. Nel 1997 duellò con Giovanni Pellegrino che aveva scritto nel suo Segreto di Stato che lui aveva “Ostacolato” una audizione di Craxi sul caso Moro: “Non è vero!”. Ma fu di nuovo protagonista nella battaglia per la difesa della Carta modificata dal Pdl: “Ci sono le tarme sulla Costituzione, ribellatevi”.
Fu vandeano? Rivoluzionario? Regressista? Il vero Scalfaro era il magistrato che condannava a morte o quello che raccontò a Giorgio Mulè per Verissimo: “Mi svegliai alle quattro, andai in carcere dai condannati, li abbracciai uno a uno, feci la comunione con loro”.
Il Fatto Quotidiano, 31 Gennaio 2012