Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ricevendo ieri la Laurea ad honorem da parte dell’Università di Bologna, ha dichiarato: “Le manifestazioni di dissenso e di protesta se sono motivate e si esprimono correttamente possono essere prese in attenta considerazione. Altrimenti no. Non intervengo – ha poi aggiunto – nel merito di alcuna questione politicamente o socialmente controversa, metto però in guardia contro la pericolosità di reazioni a qualsiasi provvedimento legislativo che vadano ben al di la delle richieste di ascolto e confronto, anche di proteste nel rispetto della legalità, per sfociare nel ribellismo e in forzature e violenze inammissibili”.
Vorrei analizzare un po’ di più queste esternazioni per scavarne meglio l’origine e le implicazioni al di là della prima impressione.
Dunque, Napolitano ci dice che perché le manifestazioni di dissenso possano essere considerate, devono essere motivate ed espresse correttamente; avendo egli appena assistito a lanci di uova e accendini, non sorprende che sia stato colpito dalla scorrettezza della contestazione, dalle modalità della quale è bene chiarire subito che occorre dissociarsi con fermezza, senza se e senza ma.
Non piace troppo, invece, che Napolitano abbia mescolato le motivazioni alle modalità, in quanto le une hanno poco o niente a che fare con le altre. Infatti possono esserci motivazioni sacrosante portate avanti in maniera inaccettabile (e credo che siamo in questo caso), motivazioni sbagliate difese in maniera corretta oppure ovviamente, motivazioni giuste sostenute correttamente (auspicabile sempre) o infine motivazioni sbagliate e per giunta anche espresse con violenza.
Il mescolare le motivazioni alle modalità rischia in questo caso di degradare le prime, oppure, per alcuni, di nobilitare le seconde, mentre il confine deve rimanere ben netto affinché non si perda la legittimità delle ragioni, che devono essere riconosciute, e vengano sufficientemente deprecate quelle forme di dissenso.
Diciamo che Napolitano è stato un po’ precipitoso, ma il punto secondo me più importante risiede nella seconda esternazione, nella quale il presidente sottolinea l’importanza della richiesta di ascolto e di confronto, come asse portante del dissenso corretto.
Giusto presidente. Mi domando però se si sia accorto che ascolto e confronto era quanto i sindacati avevano, per esempio, richiesto alla ministra Fornero prima che fosse emanata la tristissima riforma delle pensioni, ricevendo in cambio l’invito a una “conferenza” su quanto il Governo avrebbe fatto senza discussioni.
Caro presidente: prima di tutto non abbiamo visto traccia di una almeno piccola reprimenda alla ministra che, a mio avviso, aveva esordito dando prova di inadeguatezza alla mansione, proprio in quanto un ministro non dovrebbe mai prescindere dal confronto. Secondariamente, poi: qui sì che un passaggio logico dovrebbe suggerire che la totale assenza di ascolto e confronto possa far degenerare la forma della protesta (che rimane comunque ingiustificata nei modi), in quanto viene meno il terreno appropriato e cioè il confronto dove recepire le motivazioni, valutarle e poi decidere.
Insomma, la reprimenda ai manifestanti è sacrosanta ma un invito alla ministra a riconsiderare le modalità del suo approccio professorale a materie come la vecchiaia dei cittadini sarebbe doveroso, perché le uova e gli accendini fanno letteralmente schifo, ma l’assenza di confronto delle proprie convinzioni con quelle degli altri diventa imposizione preconcetta e non è una strada che sembri lastricata di rose.