Il presidente parla a Bologna di riforme dell'architettura istituzionale. Elogia il modello Emilia Romagna: "Bisognerà rivedere il concetto di benessere. E non possiamo lasciare in eredità il debito pubblico sulle spalle dei nostri giovani ". Poi la bacchettata alla Lega che non era in aula
Tutto il discorso del presidente della Repubblica a Palazzo d’Accursio, sede del comune di Bologna da dove ieri è in visita, è ruotato intorno alla questione della crisi economica e della tenuta del Paese: punto cardine è la coesione sociale. “Un bene prezioso. Bisogna fare ogni sforzo perché non siano dirompenti gli scontri tra interessi diversi”.
Qui Napolitano ha fatto un implicito riferimento alle proteste di tir e taxi di questi giorni, e a tutti gli scontri sociali generati dai decreti sulle liberalizzazioni: “Coesione sociale tuttavia non può significare immobilismo, ci sono troppe forze conservatrici e nel frattempo la situazione economica si è fatta stringente”. Il presidente va al punto: “Una cosa è una distribuzione giusta secondo equità dei sacrifici, altra cosa è pensare che ci siano gruppi sociali che possano essere esentati dai sacrifici”.
Poi, rivolto alla presidente della provincia di Bologna, Beatrice Draghetti, il capo dello stato ha toccato il tasto dolente dell’abolizione delle province: “Una riforma andava fatta 42 anni fa, quando furono eletti i primi consigli regionali a statuto ordinario”. Allora, nel 1970, eliminare queste istituzioni avrebbe potuto essere più semplice anche per un naturale trasferimento di competenze, è il ragionamento di Napolitano.
L’inquilino del Colle ha anche esaltato il modello sociale emiliano: “Un esempio da seguire in un momento di crisi in cui il reddito del Paese potrebbe abbassarsi e dal quale l’Italia potrebbe uscire materialmente più povera”. Ma la speranza del presidente è che l’Italia esca comunque “più sobria e giusta”.
È tuttavia l’attacco alla Lega nord a strappare gli applausi più forti del pubblico commposto di consiglieri regionali e provinciaoli. Il presidente della repubblica, mentre citava il federalismo fiscale, ha lanciato una frecciata contro i consiglieri comunali e regionali del Carroccio, assenti dall’aula: “Recentemente delle persone, che non sono in aula per una scelta che io rispetto, mi hanno accusato di non aver parlato di federalismo in uno dei miei recenti interventi – qui il presidente si fa severo – Applicare la legge del federalismo è un dovere non un opzione”. Ma prima, ha detto in sostanza, c’è da applicare il titolo quinto della Costituzione riformato nel 2001.
Infine, come in una ulteriore polemica con la Lega, il napoletano inquilino del Quirinale si è rivolto al suo conterraneo Virginio Merola, sindaco di Bologna: “Ho conosciuto tutti i sindaci di questa città, ma è la prima volta che ne avete uno di origini meridionali: una ricchezza in più”. Belle parole, soprattutto messe a fianco a quelle che l’allora ministro dell’economia, Giulio Tremonti, pronunciò durante la campagna elettorale, mentre si trovava sul palco insieme a Umberto Bossi: “Merola è un cognome del sud, e se continua così, a Bologna, il prossimo sindaco si chiamerà Alì. E i Babà se li porterà via Merola. Quando ho sentito parlare di primarie e mi hanno detto che aveva vinto un certo Merola – disse Tremonti durante il comizio – pensavo di essere a Napoli, non a Bologna”. Ora da Napolitano, una piccola rivincita per i tanti immigrati meridionali, ormai cittadini di Bologna.