Il nuovo accordo europeo che si sta delineando e che si concluderà probabilmente a marzo potrebbe portare ad un cambiamento radicale della costruzione europea che avrà un’influenza profonda sul nostro futuro. L’accordo di marzo servirà soprattutto a blindare una volta per tutte gli impegni di convergenza economica e disciplina di bilancio come primo passo verso una maggiore convergenza delle politiche economiche dei paesi dell’UE. Ma questa evoluzione può prendere due vie diversissime e ancora una volta, come sempre quando si tratta di Europa, la stampa e la politica del nostro paese non stanno raccontando agli italiani che cosa è veramente in ballo.

Come sempre accade, in Italia si parla di Europa senza spiegare l’Europa, in un modo sensazionalistico e introverso, con la logica del Risiko e ricorrendo a luoghi comuni stantii sulle virtù e i vizi dei vari paesi. Non c’è giornale o partito o uomo politico che parli di Europa con la chiarezza necessaria per dare consapevolezza agli italiani dei meccanismi della macchina europea. E’ anche questa superficialità che rende l’Europa incomprensibile agli italiani e che la fa apparire come un potere lontano, dispotico e forestiero. Un potere da cui i nostri politici pretendono di difenderci, quando invece sono loro il nostro problema, l’ostacolo che ci ha impedito di approfittare al meglio delle opportunità offerte dalla nostra adesione all’UE, di ammodernarci e di attuare le riforme che oggi paghiamo carissime.

L’Europa resta per noi l’unica strada percorribile, per uscire dalla crisi e per ritrovare prosperità. Ma per partecipare attivamente alla costruzione europea, per governarla e non esserne governati, dobbiamo capirla. Dobbiamo esigere che i nostri politici ci rendano conto di come intendono operare a livello europeo. Il governo Monti sembra controllare la situazione e la sua politica oggi gode di un grande rispetto internazionale. Ma Monti è stato commissario europeo e si muove a suo agio a Bruxelles. Non è così per tanti nostri capi di partito che predicano soluzioni senza avere un’adeguata conoscenza della politica europea.

L’accordo che l’Unione europea approverà a marzo, di fatto non muterà in nulla il trattato di Lisbona: non farà altro che ribadire quanto da esso sancito in campo economico, adottando solamente nuove misure più coercitive e rigorose. Di fatto, non sarebbe stato necessario un nuovo accordo se il Regno Unito non si fosse opposto a queste nuove misure. In termini strettamente giuridici, sarebbe anche stato possibile scavalcare il no inglese consentendo al Regno Unito di avvalersi, come già ha fatto in passato, di una clausola di esclusione. Ma questa volta Cameron pretendeva anche un potere di veto in materia di finanza, per tutelare gli interessi dei mercati finanziari inglesi, e questo era inaccettabile per gli altri governi europei. Così per stipulare questo nuovo accordo, dovrà restare al di fuori del quadro previsto dalle istituzioni europee, e negoziarlo a livello intergovernativo, come accordo di diritto internazionale.

Questo significa che le istituzioni europee (la Commissione, il Consiglio dei ministri e il Parlamento) non avranno più voce in capitolo a questo riguardo. La loro competenza verrà aggirata da un patto fra governi. In altre parole, verranno a mancare le garanzie di legalità democratica e di interesse sovranazionale che invece tutelano tutto quanto viene negoziato nel quadro dei trattati comunitari veri e propri. E’ importante qui capire la differenza fra livello comunitario, cioè riguardante le istituzioni europee e livello intergovernativo, cioè riguardante gli stati nazionali sovrani. Con l’accordo di marzo nella costruzione europea, almeno temporaneamente, prevarrà la dimensione nazionale su quella comunitaria. Il che non è un male in sé: è già accaduto, ad esempio con il trattato di Schengen.

Spesso in passato gli accordi intergovernativi sono stati preliminari ad accordi comunitari veri e propri. Ma si trattava sempre di materie molto settoriali e specifiche. Qui invece si tratta di materie molto sensibili come la moneta e l’integrazione economica e fiscale. Un accordo simile rischia di avviare un processo parallelo che potrebbe portare alla disgregazione di quanto costruito a livello comunitario, o comunque a un suo indebolimento, a favore di intese fra singoli stati. Ma soprattutto, l’avanzare del livello intergovernativo rende meno democratico e trasparente il processo di costruzione europea. Perché esso non avviene più all’interno di istituzioni sovranazionali sottoposte al controllo dei cittadini.

Non dimentichiamo che il Parlamento europeo è eletto a suffragio universale e la Commissione, seppur nominata dai governi, è vincolata da rigorosi obblighi in materia di trasparenza e di informazione del cittadino. Inoltre le istituzioni europee agiscono secondo principi che garantiscono l’eguaglianza di tutti gli stati. Il nuovo accordo sarà invece un patto fra stati non uguali, dove inevitabilmente comanderà il più forte. Lo vediamo già adesso, quando la Merkel alza la voce rivendicano la forza economica tedesca nel governo dell’euro.

Con l’accordo di marzo si rischia insomma una svolta verso un sistema di alleanze, come quelle che conoscevamo nel passato, ben diverse dal sistema della costruzione sovranazionale. Come si è detto, la situazione di emergenza giustifica un’azione rapida che scavalchi le lunghe procedure di una rinegoziazione del trattato di Lisbona. Ma è indispensabile che nel prossimo futuro questo accordo venga traghettato all’interno dei formali trattati europei. Altrimenti la prossima volta a chiederci sacrifici e riforme non sarà più Bruxelles, ma direttamente Berlino.

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