L’operazione non è cervellotica: Santorum, ex senatore, ultra-conservatore, vincitore a sorpresa nello Iowa il 3 gennaio, può essere al passo dell’addio, dopo avere infilato risultati deludenti nel New Hampshire, in South Carolina e in Florida. Ora, sta già facendo campagna nel Nevada, la prossima tappa. E di lì commenta: “L’America vuole vedere la sconfitta di Barack Obama” (però, non la sua vittoria. Un messaggio di coesione repubblicana, che può preludere all’uscita di scena. E i suoi voti, e i suoi delegati, andranno a Gingrich, cui ha finora conteso le aree ultra-conservatrice religiosa e populista-qualunquista del Tea Party.
La Florida, dunque, non consegna la nomination a Romney, anche se ne rilancia la corsa in testa, dopo la battuta d’arresto nella South Carolina; e sancisce il duello con Gingrich, che di sicuro andrà avanti almeno fino al ‘Super-Martedì del 6 marzo, quando si voterà in una decina di Stati –di qui ad allora, ci sono solo Nevada e Maine-. Ron Paul, il campione libertario, resterà probabilmente in gara fino in fondo: una testimonianza, la sua, senza speranze di successo.
Nel giro di dieci giorni, South Carolina e Florida hanno dato risultati rovesciati: là, Gingrich avanti a valanga, qui Romney. Ma i due Stati non sono confrontabili per composizione demografica e tendenza politica; e là Romney aveva perso il dibattito televisivo, che qui ha vinto. Merito, si dice, del suo nuovo ‘allenatore’ Brett O’Donnell, un guro dei dibattiti, che in 48 ore avrebbe trasformato Mitt l’indeciso in un oratore aggressivo e convincente. Anche in America, dunque, la squadra che cambia l’allenatore vince la prima partita, anche se non è detto che poi vinca il campionato (o si salvi).
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