Il grigio dei numeri di bilancio non si è dissolto neanche nel 2011 e dopo anni di tentativi di risurrezione la famiglia Benetton – in testa il presidente Luciano e il vice Alessandro – ha deciso che i suoi maglioni colorati avrebbero avuto bisogno di una cura drastica. La famiglia di Ponzano Veneto ieri ha annunciato che procederà al ritiro dalle contrattazioni (“delisting” nel gergo di Borsa) del titolo da Piazza Affari, dov’era sbarcato nel 1986 quando gli United colors (of Benetton) erano ben vividi e Oliviero Toscani influenzava i costumi con le sue pubblicità di rottura.
Solo 24 ore fa e con il titolo bloccato da Borsa italiana a metà seduta in attesa di comunicazioni, la società ha annunciato che il fatturato 2011 sarebbe stato in calo dell’1,1 per cento rispetto al 2010, attestandosi a 2 miliardi di euro circa, mentre gli utili netti sarebbero caduti a 70 milioni di euro. Erano 102 milioni lo scorso anno, 121 nel 2009 e 155 nel 2008, ultimo anno discreto per il gruppo. In questa mesta sfilata si legge bene la decisione della proprietà di riprendere in mano le redini del gruppo, ora in mano a manager esterni alla famiglia che non hanno dato quello sprint atteso ai conti, ovvero i due amministratori delegati Biagio Chiarolanza e Franco Furnò. Completa il quadro un indebitamento finanziario netto è salito fino a 550 milioni di euro.
Perché procedere a un delisting? Edizione Holding, che controlla già il 67 per cento (più un 5,6% di azioni proprie) della società, non ha ancora comunicato quali sono i suoi piani per ridare slancio alla società. Se ne dovrebbe sapere qualcosa di più oggi in giornata, dato che è atteso un comunicato ufficiale e nel frattempo i titoli sono ancora sospesi dalle contrattazioni, ma è chiaro fin da ora che per operare scelte drastiche di riassetto mantenere l’azienda quotata rappresenta solo un carico di adempimenti che finisce per rallentare e appesantire le operazioni, tra comunicazioni al mercato, trimestrali, obblichi verso la Consob e quant’altro deve assicurare trasparenza verso gli azionisti di minoranza. Meglio liquidarli e tornare a una gestione più snella.
D’altronde il momento per lanciare un’offerta pubblica di acquisto (opa, passo obbligato per il delisting) è propizio con i titoli scesi a valori molto bassi, mai così da quando i titoli sono quotati. Questo significa che ricomprarli, nonostante il rialzo del 25% delle ultime due sedute (sul quale ha acceso un faro anche la Consob per capire se ci sia stato insider trading) e le prossime probabili fiammate, costerà sempre “poco”. Per il 27% circa di titoli non in mano alla controllante Edizione Holding la società potrebbe pagare circa 250 milioni di euro se offrisse, come qualche analista ha azzardato, 4,5 euro per azione. Ovvero un prezzo che sia all’incirca equivalente alla media dell’ultimo anno, ben superiore all’ultimo mese di quotazioni quando era sceso anche sotto i 3 euro. Un possibile affare per chi vende.
Ma a prezzo di saldo i Benetton potrebbero riportare interamente sotto la propria ala protettrice tutti le immobilizzazioni di proprietà della società, che nell’ultimo bilancio erano iscritte complessivamente per un valore superiore al miliardo di euro di cui 780 milioni relative a terreni e immobili (di questii soli immobili commerciali avrebbero un valore contabile di 645 milioni), cifra superiore al valore che la borsa assegnava all’intero gruppo. Si tratta soprattutto della rete di negozi di proprietà, più di 650 punti vendita spesso ubicati nelle zone di pregio di molte città del mondo (Italia, Russia, Francia, Spagna, Giappone gli stati maggiormente coperti), che potrebbero essere valorizzati in altro modo, cui si aggiungono un centinaio di siti operativi e industriali.
Ieri in mattinata tra gli operatori di borsa si era sparsa la voce di un’alleanza con gli avversari spagnoli di Inditex, il gigante conosciuto nel mondo per il marchio Zara. Potrebbe essere che i Benetton vendano il marchio di abbigliamento tenendo gli immobili in modo da valorizzarli adeguatamente. Oppure ristrutturare e cedere la società in un secondo periodo. Ma sono tutte congetture da verificare, perché si tratta pur sempre dell’azienda che porta il nome di famiglia. Anche se, ora come ora, i denari dei Benetton si producono altrove, che siano autostrade, autogrill o stazioni.