Cinquanta delegati al vincitore, zero a tutti gli altri. E’ una sconfitta dura e pesante per l’ex speaker della Camera, e una vittoria formidabile e importantissima per il miliardario del Massachussettes caro all’establishment repubblicano. Romney ha senza dubbio beneficiato della spaccatura esistente fra la destra Repubblicana, ancora indecisa fra due candidati – Gingrich e Santorum – che sembrano adeguati a sedere alla Casa Bianca quanto Stanlio e Ollio. Tant’è, i due uomini politici populisti e ultraconservatori hanno affascinato il loro elettorato di integralisti cristiani e reazionari e fino al momento in cui scrivo Santorum ha continuato a ripetere che “la corsa è appena iniziata” anche se, in realtà, sembra proprio che per lui sia del tutto finita. La terza piazza dell’italo-americano in Florida è in effetti servita a far vincere in modo ampio il candidato più inviso alla Destra, e su questo concetto si concentra ora la campagna di Gingrich, che nelle prossime ore userà tutti gli argomenti possibili per convincere il collega social-conservatore a togliersi di mezzo per impedire di regalare a Romney un trionfale mese di febbraio.
Il calendario infatti sembra mettersi decisamente al bel tempo per Romney: i prossimi Stati a tenere le primarie, per altro con distribuzione proporzionale dei delegati, saranno il Nevada (4 febbraio), dove Romney ha una tradizione di vittorie a valanga grazie alla sua fede mormone, il liberalissimo Maine (4-11 febbraio), dove per ironia della sorte l’unico vero candidato che potrebbe seriamente infastidire il miliardario del New England è quel Ron Paul relegato al 7% in Florida; il Colorado (7 febbraio), dove ancora il favorito secondo i sondaggi è Romney; il Minnesota (7 febbraio) unico Stato dove forse Gingrich, se Santorum si ritira, ha alcune possibilità; il Missouri (7 febbraio, ma qui si deciderà l’assegnazione dei delegati in marzo); l’Arizona (28 febbraio) stato del centrista McCain, gran sostenitore di Romney; e il Michigan (28 febbraio) dove ancora Romney sembra essere il favorito, specie in mancanza di un ritiro di Santorum e di un ricompattamento del fronte conservatore.
Se la valanga di febbraio dovesse andare in porto, Gingrich a quel punto si potrebbe trovare ancora meno provvisto di denaro e di speranze di quanto già non sia oggi rispetto al rivale miliardario.
Secondo il politologo Peter Hamby della CNN, il voto della Florida ha insegnato cinque lezioni: 1) il fattore eleggibilità alla Casa Bianca è quanto ha sospinto Romney verso questa formidabile affermazione; più del 45% dei repubblicani ha dichiarato di aver votato per il candidato che più sembra in grado di sconfiggere Obama, a prescindere dalle proprie convinzioni politiche personali; 2) Romney non è ancora “Mister Conservatore”, vale a dire che non ha ancora convinto larghi strati dell’elettorato conservatore e radicale. Gingrich, dicono le ricerche di settore, ha mantenuto la maggioranza in diversi gruppi chiave: gli elettori più radicali di destra, gli elettori del tea-party, gli evangelici, gli oppositori integralisti dei diritti civili e dei temi etici (dall’aborto in giù). Secondo un sondaggio della CNN, oltre il 40% degli elettori repubblicani definisce ancora oggi Romney “non abbastanza conservatore”; 3) Gingrich sembra essere l’unico candidato in grado di impensierire la nomination finale di Romney; 4) La campagna anti-immigrazione di Gingrich è fallita, come testimonia il suo scarso risultato nei collegi dove gli ispano-americani sono la quasi totalità dell’elettorato; 5) Gli elettori della Florida, al contrario di quelli dei tre precedenti Stati dove si è votato, hanno deciso quale candidato votare già molte settimane fa, non si sono fatti trascinare dagli ultimi giorni di campagna per fare la loro scelta.
Tuttavia, nonostante il febbraio cupo che si annuncia per Gingrich, le cose potrebbero ancora arridergli se Santorum annuncerà nelle prossime 48 ore il suo ritiro dalla corsa, se l’ex speaker della Camera sarà in grado di raccogliere altri fondi, se riuscirà ad aggiudicarsi gli Stati del sud a cominciare dal Texas, e se saprà resistere alla schiacciante campagna negativa che gli è piovuta in testa da parte dei sostenitori di Romney (12mila spot per 15,5 milioni di dollari), giusto contrappasso della pesantissima campagna denigratoria (200 spot per 3,5 milioni di dollari) lanciata dai pro-Gingrich contro il candidato del Massachussettes.
In tutto questo bailamme di fango intra-repubblicano, Obama continua a ridersela, rinfrancato anche dagli ultimi dati di discreta ripresa economica (+2,8% annuo) che infatti hanno risospinto il suo appeal oltre il 50% presso il popolo americano.
(Nella foto: Newt Gingrich, LaPresse)