Dopo la maxi perizia sulla condizione ambientale nel capoluogo ionico rispetto alle emissioni industriali dello stabilimento siderurgico, Franco Sebastio vuole comprendere "quali saranno i provvedimenti da adottare per risolvere la situazione ambientale"
Quali saranno i provvedimenti da adottare per risolvere la situazione ambientale di Taranto? E’ la richiesta contenuta in una lettera scritta dal procuratore capo, Franco Sebastio, al ministro dell’ambiente Corrado Clini, al governatore di Puglia Nichi Vendola, al sindaco Ippazio Stefàno e al presidente della Provincia ionica Gianni Florido. Una missiva scritta dal magistrato tarantino pochi giorni dopo la consegna della maxi perizia ambientale disposta dal gip Patrizia Todisco, in cui per la prima volta quattro esperti hanno documentato la condizione ambientale nel capoluogo ionico rispetto alle emissioni industriali dello stabilimento Ilva. Una perizia che, secondo Sebastio, desta “particolare allarme”, al di là degli aspetti penali che dovranno essere accertati nel corso di un eventuale processo.
Nelle 554 pagine del documento i tecnici hanno infatti confermato che dallo stabilimento Ilva di Taranto si diffondono gas, vapori, polveri, contenenti sostanze pericolose per la salute dei lavoratori e per la popolazione della provincia ionica. A preoccupare sono soprattutto le polveri che si diffondono in maniera non controllata dal parco minerali a cielo aperto, situato a pochi metri di distanza dal quartiere Tamburi. 668 tonnellate di polveri, secondo i periti, ogni anno si disperdono nell’atmosfera da questa area in cui l’azienda deposita piccole montagne di minerale di ferro e di carbone, materie prime che servono per la produzione dell’acciaio. Una zona che, secondo la relazione, per poter continuare a operare dovrebbe essere coperta e dotata di impianti di “aspirazione e trattamento” delle polveri emesse.
Ma il lavoro dei tecnici ha messo in luce anche un altro aspetto preoccupante: la “correlazione preferenziale” tra le emissioni dello stabilimento siderurgico e la diossina ritrovata negli animali contaminati e abbattuti qualche tempo fa. Un nesso di causa-effetto che finora non era mai stato provato in sede giudiziaria e che potrebbe costituire l’avvio del percorso per dimostrare il collegamento tra l’incremento di alcune forme tumorali e le emissioni nell’area di Taranto.
Quali sono quindi le misure per impedire che le cose peggiorino ancora? A questa maxi perizia ambientale si aggiungerà, fra qualche settimana, la relazione sulle condizioni di salute dei tarantini che il gip Todisco ha affidato a un altro pool di esperti. Toccherà a un collegio di periti rispondere al quesito principale: le singole sostanze e la loro interazione determinano “situazioni di danno o di pericolo inaccettabili”? Una risposta che potrebbe determinare anche il futuro dello stabilimento, i cui vertici al momento sono indagati per disastro colposo e doloso, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni pubblici, getto e sversamento di sostanze pericolose, inquinamento atmosferico.
Ma intanto per il procuratore Sebastio questo primo documento è sufficiente per chiedere alle istituzioni quali misure intendono adottare per tutelare “senza ritardi” la salute dei cittadini. La magistratura, insomma, sta facendo la sua parte, ma la prevenzione non compete all’organo giudiziario. Gli ambientalisti, che hanno dato il via alla mobilitazione per il 17 febbraio (giorno in cui la perizia ambientale sarà discussa nell’aula del tribunale di via Marche), in un comunicato si sono rivolti proprio al primo cittadino: “Non possiamo aspettare altro tempo, il sindaco ha ora le evidenze scientifiche, gratuitamente fornite dalla procura della repubblica e non più il semplice ingiustificato sospetto di un manipolo di esagitati eco-allarmisti per convincersi che la salute dei suoi concittadini viene quotidianamente messa in pericolo”.