Il simposio della Gregoriana dovrà sciogliere due nodi fondamentali: il vescovo deve denunciare sempre i crimini alle autorità di polizia o deve farlo solo nei paesi dove lo obbliga la legge? E poi: si dovranno aprire indagini per scoprire i casi insabbiati del passato? Su questo punto molti sono contrari
“Verso la guarigione e il rinnovamento” è il titolo dato all’iniziativa, sostenuta dalla Segreteria di Stato, dalla Congregazione per la Dottrina della fede e da altri dicasteri vaticani, che lunedì riunirà per la prima volta a Roma – a discutere con psicologi ed altri esperti – vescovi e religiosi di tutto il mondo, delegati di oltre cento episcopati e una trentina di ordini religiosi. A suo modo è un evento storico, che va al di là dell’emanazione di norme più severe da parte del Sant’Uffizio. L’obiettivo è quello di mobilitare tutta la Chiesa sul dramma (e le responsabilità) dell’abuso sessuale all’interno delle proprie file, gettando le basi di una strategia globale. Imperniata su tre punti: 1. attrezzare diocesi e parrocchie nella vigilanza, nella scoperta e nella denuncia del fenomeno; 2. coinvolgere concretamente nel contrasto alla pedofilia tutta la comunità ecclesiale; 3. portare in primo piano la sorte delle vittime, ascoltarle, prendersi cura di loro, accompagnarle in un percorso di guarigione dai traumi.
Motori dell’iniziativa sono due personalità particolari. Un maltese e un tedesco. L’uno “promotore di giustizia” (procuratore generale) del Sant’Uffizio, l’altro cardinale di Monaco di Baviera. Il maltese Charles Scicluna, uomo di fiducia di Benedetto XVI, è il prelato che l’allora cardinale Ratzinger, in qualità di prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, spedì negli Stati Uniti e nel Messico durante l’agonia di Giovanni Paolo II per indagare sui crimini di Marcel Macial, fondatore dei Legionari di Cristo. In una dozzina di giorni, prima ancora che si aprisse il conclave che elesse Benedetto XVI, Scicluna tornò in Vaticano con prove schiaccianti che inchiodarono Macial e portarono alla sua rimozione e poi alla sua damnatio memoriae. Sull’Avvenire il maltese ha criticato nel 2010 la “cultura del silenzio”, che aleggia nella Chiesa italiana a proposito degli abusi. Oggi insiste sulla necessità di “prevenire altri crimini”, sostenendo che non bisogna “partire dall’omertà” ma bisogna avere di mira la guarigione delle vittime. Che anzitutto vanno ascoltate. Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco di Baviera, è il cardinale che nella sua diocesi ha data carta bianca ad una donna, l’avvocato Marion Westpfahl, per un’inchiesta indipendente sugli abusi del clero.
Il risultato, comunicato pubblicamente, è che dal dopoguerra ad oggi si sono verificati nella diocesi monacense circa trecento casi di abuso, ignorando sistematicamente le vittime e con una diffusa manipolazione e distruzione della relativa documentazione. Domanda: come mai nessun cardinale italiano ha promosso una simile inchiesta? Perché non è stata aperta un’inchiesta ecclesiastica in nessuna parte d’Italia con la sola eccezione della diocesi di Bolzano-Bressanone? Sul sito della diocesi di Monaco appare ben chiaro l’indirizzo di due avvocati a cui le vittime possono rivolgersi per segnalare abusi. E anche il programma di rimborso delle terapie psicologiche e di risarcimento danni per i minori violati. Al convegno – cui seguirà a cura dell’università Gregoriana la creazione di una banca dati – interverrà una vittima celebre, l’irlandese Marie Collins. Nel 2009 denunciò “con orrore” il palleggio di responsabilità sul suo abuso tra le autorità di polizia e il suo vescovo. “Ero sorpresa di quanto fosse noto sul mio abusatore”, raccontò. Il vescovo ausiliare della sua diocesi avrebbe voluto denunciare il crimine, ma l’arcivescovo McQuaid non fece nulla. “Fui mobbizzata e minacciata”. Il simposio della Gregoriana dovrà sciogliere due nodi fondamentali. Dovrà o no il vescovo denunciare sempre i crimini alle autorità di polizia? O deve farlo solo nei paesi dove lo obbliga la legge? Papa Ratzinger finora non ha dato l’ordine di denunciare immediatamente. Tutte le associazioni a tutela delle vittime invece lo esigono. Il secondo nodo riguarda l’apertura di indagini per scoprire i crimini insabbiati del passato. Molti episcopati, fra cui l’italiano, non vorrebbero imboccare la strada della trasparenza a 360 gradi.
da Il Fatto Quotidiano del 4 febbraio 2012