I bimbi da 0 a 6 anni con genitori non in regola sono appena un centinaio su 31mila iscritti. E la nuova circolare non fa altro che ribadire quello che un giudice aveva già stabilito nel 2008. E nonostante questo il Carroccio attacca: "E' istigazione all'illegalità"
Prima i fondi anticrisi alle coppie di fatto. Poi la giunta Pisapia decide l’apertura di asili nido e scuole materne ai figli di stranieri senza permesso di soggiorno. E qui partono le critiche della Lega (“istigazione all’illegalità”) e del quotidiano Libero (“si ruba il posto ai nostri bambini”). Ma dal comune di Milano arrivano rassicurazioni alle famiglie italiane. Perché i bimbi da 0 a 6 anni con genitori non in regola sono appena un centinaio su 31mila iscritti. E la nuova circolare non fa altro che ribadire quello che un giudice aveva già stabilito nel 2008.
La giunta ha appena messo nero su bianco che alle scuole dell’infanzia possono iscriversi anche i bambini “presenti abitualmente nel comune di Milano e privi di una residenza anagrafica”. Indipendentemente quindi dalla regolarità o meno del permesso di soggiorno dei genitori. “Noi abbiamo aperto a tutti – spiega Maria Grazia Guida, vice sindaco e assessore a Educazione e istruzione – perché anche la nostra Costituzione, con l’articolo 31, ci richiama alla tutela dell’infanzia e, con l’articolo 34, alla garanzia del diritto allo studio per tutti”.
Ai fini dell’iscrizione, la nuova circolare rende sufficiente la dimora abituale in città. Un requisito che va a sostituire quello di residenza, non ottenibile da immigrati irregolari. Il requisito della dimora abituale era in realtà già stato introdotto nel 2008 dall’amministrazione precedente. In seguito a un’ordinanza del tribunale di Milano e per le sole scuole materne. La decisione del giudice era arrivata dopo il ricorso di una donna marocchina da tempo residente in Italia, ma in attesa del rinnovo del permesso di soggiorno. Condizione che le impediva di iscrivere la figlia alla materna. Una discriminazione, secondo il tribunale. Spalle al muro, la giunta Moratti aveva sanato la situazione delle scuole materne, ma non quella degli asili nido. Su cui ora interviene la nuova amministrazione.
“Noi abbiamo valori che non sono solo ideali – commenta Pisapia – ma si concretizzano nell’aiuto a tutte le necessità, che si tratti di case per i senzatetto o di asili per i bambini”. Parole che fanno il paio con quelle pronunciate dal sindaco la settimana scorsa, quando per difendere la delibera sui fondi anticrisi assegnati anche alle coppie non sposate, e magari dello stesso sesso, ha detto: “E’ un dovere da parte delle istituzioni aiutare tutte le coppie che si trovano in uno stato di difficoltà”.
Se allora la giunta arancione è stata attaccata dal quotidiano Avvenire, adesso ad alzare la voce è Libero. Che denuncia: “Il clandestino all’asilo ruba il posto all’Italiano”. E ancora: “Pisapia discrimina gli italiani e se ne vanta”. Accuse che l’amministrazione rigetta. Dei circa 21mila bimbi che frequentano le scuole materne – fanno sapere dall’assessorato a Educazione e Istruzione – solo un centinaio non ha la residenza a Milano: non sono figli di ‘clandestini’, ma di persone che attendono il rinnovo del permesso di soggiorno o di ragazze madri inserite in comunità. Trascurabile rispetto ai 10mila posti negli asili nido è pure il numero dei bambini che prima non potevano iscriversi perché la loro situazione non era stata sanata. Secondo l’assessorato, inoltre, buona parte dei 2mila utenti in lista d’attesa viene riassorbita dopo qualche mese per la rinuncia di altre famiglie.
Nessuna ‘invasione di piccoli clandestini’ pronti a occupare gli asili milanesi, quindi. Ma le rassicurazioni non fanno cambiare idea a Matteo Salvini, capogruppo della Lega in Consiglio comunale. “Ci fosse un solo bambino figlio di irregolari, è il principio che contestiamo – afferma –. La clandestinità è un reato, e non è giusto agevolare chi vive in una situazione di reato”. E sul giudice che nel 2008 aveva anticipato la decisione della giunta Pisapia, Salvini aggiunge: “Può dire quello che vuole. Dovrebbe fare rispettare la legge”. Ma proprio alla legge faceva riferimento quel giudice, quando scriveva nell’ordinanza che “il diritto all’educazione, di cui il minore è titolare, rientra nel novero dei diritti fondamentali della Costituzione”. Indipendentemente dalla posizione giuridica dei genitori.
di Franz Baraggino e Luigi Franco