Russia e Cina hanno espresso il veto per la seconda volta sulla risoluzione Onu di condanna della repressione in Siria, e lo hanno fatto poche ore dopo un pesante bombardamento nella città di Homs dove, secondo le fonti dell’opposizione, oltre 300 persone sono morte e migliaia ferite. Il no dei due paesi, che ha suscitato reazioni durissime in Occidente, si è inoltre verificato a trent’anni esatti dall’eccidio di Hama, città martire per eccellenza della brutale repressione del regime degli al-Assad. Sul mancato accordo ha espresso amarezza anche il Ministro degli Esteri Giulio Terzi che ha affidato a Twitter il suo messaggio: “è un voto inaccettabile”, ha scritto in inglese sul suo account, ricordando che “il popolo siriano ha bisogno di noi”.
Per la Cina, secondo quanto dichiarato dall’ambasciatore di Pechino alle Nazioni Unite, Li Baodong, la colpa del veto posto con la Russia contro il regime di Bashir el Assad, è da attribuire alla fretta con cui le potenze occidentali hanno voluto votare il documento, mentre secondo l’omologo russo, Vitaly Churkin, il documento “mandava un segnale sbilanciato alla Siria”.
Oggi, gli uomini del presidente siriano Bashir al-Assad, che in un primo momento avevano addirittura smentito che Homs fosse stato teatro di violenze, hanno in seguito ammesso il violento attacco attribuendone però la responsabilità a non meglio precisati gruppi di terroristi armati, proprio per fare pressione sul Consiglio di Sicurezza riunito proprio in quelle ore. Il ministro dell’informazione, Adnan Mahmud, ha infatti esplicitamente accusato l’opposizione all’estero – riunita sotto la sigla del Consiglio nazionale siriano (Cns) ma dal regime chiamata “Consiglio di Istanbul” perché la loro prima riunione è avvenuta sulle rive del Bosforo – di aver dato ordine ai terroristi di bombardare i quartieri di Homs nel tentativo di influenzare la discussione in corso all’Onu.
Numerosi video amatoriali pubblicati su Youtube e i resoconti di testimoni oculari danno conto di una “tragedia umanitaria” ancora in corso nei rioni di Khaldiye e Bayada, nella parte nord di Homs, epicentro della rivolta da numerosi mesi. L’inviato sul posto della tv panaraba al Arabiya, di proprietà saudita, ha detto di aver contato 337 cadaveri. Altri attivisti riferiscono di un bilancio provvisorio di oltre 200 uccisi. I Comitati di coordinamento locali sul loro sito pubblicano una lista provvisoria delle vittime odierne di 81 persone, di cui una cinquantina quelle morte a Khaldiye. Numerosi feriti – si parla di un migliaio – sono in condizioni gravi, altri sarebbero morti perché non soccorsi in tempo.
Da settimane le forze governative impediscono l’accesso ai mezzi di soccorso nei quartieri in rivolta, dove sono stati allestiti punti di primo soccorso nelle abitazioni, molti dei quali colpiti dal bombardamento. Questo era iniziato ieri sera attorno alle 20, con colpi di mortaio e proiettili di artiglieria. Oltre 30 edifici sono stati distrutti, secondo quanto riferito da testimoni. Video amatoriali mostrano palazzi in fiamme e cadaveri ammassati in una moschea, alcuni riversi nel sangue altri con vistose ferite sul corpo. A metà giornata al Arabiya ha mostrato in diretta i funerali di alcune vittime celebrati nella piazza centrale di Khaldiye e ai quali hanno partecipato centinaia, forse migliaia, di persone. Molte vittime, affermano i residenti, sono state seppellite nei pochi appezzamenti di terreno disponibili tra gli edifici. La giornata di violenza è proseguita anche in altre località della Siria, note per essere da mesi il centro della repressione e della rivolta. Almeno dodici persone sono state uccise a Daraya, sobborgo a sud di Damasco, dal fuoco delle forze di sicruezza che hanno sparato su un corteo funebre, secondo quanto riferito dai Comitati di coordinamento. Altri uccisi si sono registrati nella regione nord-occidentale di Idlib, a Hama, e in altri quartieri di Homs.
In serata, a Damasco – dove martedì è atteso il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov e il capo dell’intelligence di Mosca – ma anche ad Aleppo e Tortosa, centri finora meno investiti dalle proteste, sono scesi in strada cortei di condanna per “il massacro di Homs” e per la decisione di russa e cinese di bloccare la risoluzione all’Onu. A Midan, quartiere-cuore della rivolta nella capitale, sono state bruciate bandiere russe, cinesi, iraniane e del movimento sciita libanese Hezbollah alleato di Siria e Iran. E in molte capitali arabe ed europee seguaci dell’opposizione hanno assaltato le ambasciate siriane, in alcuni casi penetrando all’interno dei compound, danneggiandone gli arredi e innalzando il “tricolore siriano dell’indipendenza”, usato dai rivoltosi al posto dell’attuale bandiera adottata con l’avvento del partito Baath al potere da mezzo secolo.