Monti ha esposto il suo punto di vista che la crisi, pur non ancora sconfitta, è in via di soluzione e che siamo oltre la metà del cammino. Non voglio discutere se l’affermazione di Monti sia corretta o no; la prendo per buona, ma questo mi mette un brivido lungo la schiena.
Infatti guardando agli indicatori reali dell’economia mondiale e in particolare italiana, alle capacità tecnologiche, alle risorse produttive, alla struttura dello Stato, al grado e alla qualità della scolarizzazione della popolazione, nulla è cambiato negli ultimi 60 giorni; assolutamente nulla. Sono state invece messe in cantiere riforme che spaziano dal non condivisibile al ragionevole e che daranno qualche mutamento alle cose che citavo in un tempo medio-lungo; e però questo sembra stia risolvendo la crisi
Facciamo un passo indietro: pochi anni fa le banche americane, sulla base della propria valutazione circa l’affidabilità del mercato immobiliare, concessero crediti così detti “subprime”, facendoseli garantire da ipoteche sugli immobili dati a garanzia. Naturalmente le banche si rifinanziarono sul libero mercato emettendo così detti “derivati”, vale a dire obbligazioni il cui sottostante era il credito da loro vantato e quindi, in ultima analisi, il valore degli immobili dati a garanzia del prestito originario.
Tutti sanno come è finita la vicenda: a fronte di un crollo del mercato immobiliare i debitori decisero che non valeva la pena di restituire i prestiti; meglio lasciare alle banche gli immobili, i quali, svalutati fortemente, non garantivano più i debiti che le banche a loro volta avevano contratto tramite le obbligazioni derivate che quindi precipitarono mettendo nei pasticci gli investitori che le avevano acquistate e altri in cascata; pasticci talmente grossi da portare, tra gli altri, Lehman Brothers al fallimento, Merryl Lynch molto vicina allo stesso, insieme a un po’ di altre grosse banche di investimento, ma anche insieme a un notevole numero di banche mondiali anche retail, quali UBS e Royal Bank of Scotland, per citarne due.
Sull’onda negativa di quella storia, la crisi finanziaria ha coinvolto anche gli Stati e i loro titoli di debito. Oggi Giappone, Europa e Stati Uniti hanno situazioni debitorie pesantissime, ma tali situazioni non vengono recepite dalla finanza internazionale allo stesso modo.
A Giappone (debito = 220% del PIL) e Stati Uniti (oltre il 100% del PIL quello ufficiale, oltre il 140% quello effettivo, includente anche gli indebitamenti dei singoli stati etc.) la finanza internazionale dà fiducia di riuscire a far fronte ai propri debiti nel medio e nel lungo termine ancorché non ci siano dimostrazioni storiche (specie nel passato recente) di riuscire a ridurlo, anzi; ma qui la domanda non sembra essere riusciranno Giappone e USA a ridurre il debito, bensì: potranno regolarmente pagare i loro debiti a scadenza? La risposta che si da la finanza è : sì.
Nel caso dell’Europa, invece, la finanza internazionale risponde che no, alcuni degli Stati europei non riusciranno a pagare i propri debiti e pertanto mettono pressione sugli Stati sovrani affinché ristrutturino la propria economia in modo da dare maggiori garanzie per il futuro. E le garanzie richieste per il futuro consistono in interventi riduttivi dello stato sociale e in misure tendenti a liberalizzare i mercati. Sembrerebbe quindi che non siano importanti il se si ridurrà il debito e il se lo si ripagherà, bensì il come lo si ridurrà e forse anche il come lo si è accumulato.
Infatti il debito Usa del 140% del Pil, non accumulato per cura dello stato sociale ma probabilmente per enormi spese militari e per bassa fiscalità, non crea dubbi agli investitori i quali non mettono pressione sul dollaro chiedendo che vengano rimosse quelle cause del debito e cioè mettendo mano ai bilanci della difesa e alzando le tasse. E richieste dal tono simile agli ultimatum delle BCE rivolte all’Italia nell’agosto 2010 non vengono fatte neppure al Giappone. All’Europa invece, attraverso l’aggressione sui titoli di stato, si è chiesto di mettersi a posto rapidamente e si è anche spiegato come farlo. Puntualmente in Italia lo stiamo facendo e forse anche in Spagna e negli altri stati sotto attacco, ammesso che siano ancora in tempo.
Non ho una base economica sufficiente per spiegare e neppure per capire bene i meccanismi che animano le grandi banche di investimento, ma ho il dubbio che le loro azioni speculative non rispondano a criteri di valutazione accurata di rischi e opportunità (altrimenti come si spiega l’abbaglio del subprime?), ma a qualcosa d’altro; i criteri potrebbero essere la impossibilità di aggredire Dollaro e Yen ben difesi dalle loro banche centrali? O forse l’idea che grandi spese militari e basse tasse siano un bagno di cultura migliore per le investment banks rispetto a tassazione elevata e stato sociale evoluto?
In ogni caso, sembra che oggi le condizioni economiche, il modo di vivere, le regole della società, i rapporti umani o di potere, anziché essere il risultato di un processo storico di secoli, siano in realtà un complesso il cui dipanarsi viene scritto seguendo le aspettative virtuali di un mondo che non c’è ma che lentamente impone le regole all’oggi per il suo realizzarsi di domani. Qualche entità sconosciuta, ha prima generato uno stato di pessimismo, ansia e shock, poi, sempre senza che succedesse alcunché di materiale, sulla base della rappresentazione virtuale di quel mondo che voleva e che forse ci sarà, ha cominciato a scommettere in positivo su quel mondo.
Non dà i brividi il pensare che le azioni che compiamo, siano esse del vivere quotidiano oppure azioni di governo, debbano rispondere in qualche modo a un progetto altrui che non comprendiamo neppure bene e che neppure ci viene spiegato se non attraverso il dissenso o il consenso speculativo? Il valore di una Nazione, il nostro valore, sembrano non dipendere da ciò che oggi effettivamente siamo o no in grado di fare ma da quello che forse faremo o non faremo nel futuro, e soprattutto dal se ci adegueremo o meno a uno schema eterodiretto. Qualcuno sta emettendo bond garantiti dalla nostra esistenza?