Le scritte contro Barbara Ciabò e Gianfranco Fini

“Ciabò a morte”, “Fini traditore”, “Ciabò venduta”. Queste alcune delle scritte comparse questa notte sul muro e la finestra della sede milanese di Futuro e libertà in via Lanzone. Vernice verde e un comune denominatore: le offese contro la consigliera comunale e coordinatrice di Fli Barbara Ciabò e contro il presidente della Camera nonché fondatore del partito Gianfranco Fini. “Non so proprio chi possa essere stato – spiega Ciabò per nulla intimorita – Certo non è un messaggio rassicurante, ma se qualcuno pensa che io mi preoccupi per questo episodio, sbaglia. E di grosso”.

Del resto, Barbara Ciabò, classe 1967, laureata in legge, consigliere comunale da oltre 10 anni e attuale presidente della Commissione Casa e demanio del Comune di Milano, è abituata alle polemiche e di fronte a qualche scritta non perde per nulla la calma. Eletta nel 2006 in “Alleanza Nazionale”, transitata nel gruppo consiliare de “La Destra” prima e di “Forza Italia” poi, è confluita in Futuro e libertà seguendo la scissione politica voluta da Fini. In prima linea sul tema della trasparenza nell’amministrazione pubblica, Ciabò ha scoperchiato il pentolone dello scandalo noto come “Affittopoli” legato alla gestione del patrimonio del Pio Albergo Trivulzio (Pat). “Forse questo mio impegno sul fronte della legalità infastidisce qualcuno – spiega ancora la coordinatrice di Fli che a febbraio aveva chiesto l’accesso agli elenchi degli affittuari del Pat, vedendoseli rifiutare per presunti motivi di “privacy” – Ma ho intenzione di andare avanti, specie per quanto riguarda il filone delle infiltrazioni mafiose in Lombardia”.

Insomma, dopo essere passata alle cronache nazionali come “l’osso duro della Baggina” ed essere rimasta fuori dal Consiglio di amministrazione dell’Aler (l’Azienda lombarda edilizia residenziale, ndr) per aver insistito nel chiedere di renderne pubbliche le liste, ora Ciabò promette nuovamente battaglia e a chi crede di intimorirla con scritte sul muro dice: “Io vado avanti, se ne facciano una ragione”

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