“Impedire la svendita del patrimonio agricolo pubblico”. Con questo slogan, alcune sigle dell’associazionismo agricolo (AIAB, ALPA, Coop. Agricoltura Nuova, ecc..), supportate da Legambiente e Libera, hanno manifestato questa mattina in piazza Montecitorio la loro contrarietà alla “dismissione di terreni agricoli demaniali e a vocazione agricola”.
La proposta del Governo, attualmente al vaglio della decima Commissione del Senato (in discussione il Ddl di Conversione del decreto-legge 24 gennaio 2012), secondo il presidente dell’Associazione Lavoratori Produttori Agroalimentari, Antonio Carbone, oltreché sbagliata è altamente rischiosa: “In regioni in cui la criminalità organizzata è ben salda – dice Carbone – il rischio infiltrazioni diventerebbe una certezza”. Vendendo tutto e subito dunque, lo Stato potrebbe finire per incassare il denaro sporco di mafia, camorra e ndrangheta, che ovviamente necessitano di ripulire l’ingente liquidità proveniente da attività illecite. Le garanzie in tal senso, a dire la verità, sono state date: a chi vorrà comprare verranno chiesti i vari certificati.Insomma si farà attenzione.
“Ma ad avere dei prestanome – ricorda Carbone – non ci vuole nulla. Per questo – annuncia –formalizzeremo al più presto le nostre preoccupazioni al procuratore antimafia Grasso”. Un’anomalia tutta italiana? “No – dice Martín Wolpold, coordinatore di Fian Internacional (FoodFirst Information and Action Network) per il Centroamerica – questo è ciò che sta succedendo dappertutto nel mondo, come in Honduras dove i terreni sono stati venduti al narcotraffico. E dappertutto nel mondo le organizzazioni contadine reagiscono a questo”.
“A comprare i terreni agricoli – aggiunge Carlo Patacconi presidente della Coop. Agricoltura Nuova – saranno però banche, investitori istituzionali, notai, costruttori che poi magari tra vent’anni cambieranno la destinazione d’uso per costruire palazzi o centri commerciali”. Di certo, dicono i manifestanti, non i piccoli agricoltori: “Le piccole aziende agricole – dice Patacconi – sono allo stremo, i redditi sono bassissimi, si lotta quasi per la sopravvivenza (dell’azienda)”. Negli ultimi 10 anni, secondo i dati dell’6° censimento dell’agricoltura Istat, nel nostro Paese il numero di aziende si è ridotto di circa un terzo (-32,2%). “Nessuno perciò – conclude Patacconi – ha la possibilità di fare certi investimenti”. La cifra a cui lo Stato vorrebbe mettere in vendita i suoi terreni, secondo alcune stime, si aggirerebbe infatti attorno ai 18/20 mila euro per ettaro. Tanto per i piccoli agricoltori, una cifra quasi ridicola per le casse dello Stato che, vendendo 338 mila ettari di terreno, ricaverebbe circa 6 miliardi di euro.
Pochi, e subito dunque, ma li ricaverebbe. E se si pensa che arriverebbero dalla vendita di terre inutilizzate, tutto sommato (con la crisi che c’è) non sarebbe poi un affare così cattivo.
“Ma gli agricoltori – afferma il presidente dell’Alpa – non chiedono di certo che questo patrimonio rimanga congelato. La concessione in affitto, magari privilegiando i giovani agricoltori o le cooperative sociali, sarebbe un’ottima soluzione per rilanciare l’attività agricola e quindi, con la nascita di nuove imprese agricole (che darebbero nuovi sbocchi occupazionali), anche l’economia”.
Inoltre, dando questi terreni in affitto lo Stato ricaverebbe una somma di denaro uguale, se non addirittura maggiore, a quella che incasserebbe dalla vendita. Lo Stato infatti “attiverebbe anche altri canali come i versamenti di Iva provenienti dalla vendita di prodotti e servizi delle nuove attività avviate e i contributi previdenziali per i nuovi lavoratori”. Non si farebbe cassa immediatamente è vero (la somma verrebbe infatti spalmata nel corso degli anni), ma per il Paese sarebbe comunque un buon affare.