Con Schettino fu questione di metri, con Alemanno di millimetri (neve scambiata per pioggia), ma è destino che l’italica catastrofe cominci in burletta e finisca invariabilmente con lo scaricabarile. Mentre però il comandante che addossò la colpa all’imprudente scoglio fu tacitato dall’evidenza dei fatti, il sindaco di Roma nega l’evidenza e salta da una tv all’altra brandendo pale e sale da cucina, battendo i pugni e strillando contro i “passacarte” della Protezione civile: “Ho ragione io”.
Così pensa di recuperare i voti che a valanga lo abbandonano poiché la buona gens romana può perdonargli i camerati, la parentopoli, i palazzinari e perfino le bande criminali che sparano e impazzano nell’urbe, ma non dimenticherà facilmente la vergogna di quel 3 febbraio 2012 che è stato l’8 settembre della peggiore giunta che la Capitale (da sempre) peggio governata del mondo ricordi. Non la fuga dalle responsabilità, non la popolazione abbandonata per strada e di notte, non i quartieri ancora impraticabili tre giorni dopo la nevicata riescono a turbare il cosiddetto primo cittadino. Lui pensa solo alle elezioni dell’anno prossimo quando si ricandida di sicuro perché a Roma “ha fatto un miracolo” (come proclamava domenica sera su Rai 3 invece di andarsi a nascondere dopo il devastante dossier di Presadiretta).
Ecco: stare in televisione e metterci radici sembra l’esclusiva preoccupazione di questi politici immaginari, allevati da Porta a Porta e cresciuti a Ballarò. Bravissimi a battibeccare, maestri dell’interruzione, prestigiatori di parole inutili e che di finzione si nutrono come topi nel formaggio. Ma se dal reality si passa alla realtà, quando la vita vera morde e si fa tempesta e occorre subito intervenire e decidere, eccoli tremanti e isterici balbettare e contraddirsi, piagnucolare scuse e sempre a prendersela con qualcun altro. Penosamente persi in un bicchier d’acqua, anzi di neve.
Il Fatto Quotidiano, 7 Febbraio 2012