Haytham Manaa, Presidente del Comitato nazionale di coordinazione per il cambiamento democratico, insiste sulla necessità di tornare a una sommossa pacifica, di considerare Assad "politicamente morto" e denuncia un pericoloso aumento preoccupante degli armamenti
Undici mesi di protesta. Oltre 5500 morti di cui 400 – secondo l’Unicef – sono bambini; le ambasciate chiudono gli uffici e migliaia di siriani sono in fuga verso Turchia e Libano. “Siamo in piena fase di militarizzazione” spiega Haytham Manaa, Presidente del Comitato nazionale di coordinazione per il cambiamento democratico. Siriano, pacifista, difensore dei diritti umani, figura chiave dell’opposizione al regime di Assad, da Parigi Manaa insiste sulla necessità di tornare a una rivoluzione pacifica, di considerare Assad “politicamente morto” e aggiunge “per favore non paragonate la Siria alla Libia”.
Cosa sta succedendo in Siria?
Siamo in una fase di militarizzazione del conflitto. Si combatte in molte città siriane, a Homs, a Daraa, nei sobborghi di Damasco, a Idlib. Alcune regioni sono sotto il controllo delle forze militari pro regime, altre delle forze para militari. Da tempo questi due eserciti non si limitano più a garantire la sicurezza della popolazione siriana ma hanno dato il via a veri e propri combattimenti limitando la circolazione delle persone, imponendo copri fuoco nelle città dove si combatte e, soprattutto, causando la morte di centinaia, migliaia di civili.
Assad cederà il potere?
Assad è politicamente morto. E’ il passato. Il problema ora è impedire che la nostra rivoluzione, iniziata come protesta pacifica, si trasformi in una guerra civile. Per quanto riguarda la risoluzione Onu, ora è d’obbligo passare per Mosca. Mosca sta gestendo i giochi.
Prima parlava di presenza di para militari. Chi sono?
I media occidentali si riferiscono a loro con il nome di Free Syrian Army (l’esercito per la liberazione della Siria, ndr) composto per due terzi da disertori dell’esercito del regime ma anche da volontari il cui comando è totalmente decentrato e si trova in Turchia.
L’esercito di liberazione della Siria è all’opposizione. Non si fida di questi paramilitari?
Sto semplicemente descrivendo la situazione così com’è. L’esercito di liberazione siriano è composto da un insieme di persone armate e i volontari che ne fanno parte appartengono ad un’unica corrente politica, quella islamista. Aggiungo che ora stiamo assistendo anche a un aumento preoccupante degli armamenti.
Da dove provengono le armi?
(Ride) Da tutto il mondo. Non sono uno specialista del settore ma le armi vengono da chi vuole incoraggiare la militarizzazione del conflitto.
Voi, invece, cosa chiedete?
Noi chiediamo la capitolazione del regime. Non la distruzione dello stato e dell’esercito siriano. Vogliamo abbattere il regime pacificamente. Lo ripeto pacificamente. C’è il rischio che da una dittatura militare si passi a un’altra dittatura militare e dobbiamo impedire che questo avvenga. Io ho paura della guerra civile.
Secondo lei, in Siria potrebbe ripetersi lo scenario della Libia?
Non ci sarà nessuna ripetizione ma per favore non paragonate i due Paesi. La situazione in Siria è molto più complessa, si rischia una semplificazione pericolosa.