Ai ferri corti. Tra Berlusconi e Bossi è gelo e la temperatura di questi giorni non c’entra nulla. Anche ieri, d’altra parte, l’incontro tra i maggiorenti pidiellini, la Lega e il Pd per la modifica della legge elettorale è servito solo a chiarire la distanza siderale che ormai esiste tra il Cavaliere e il Senatùr. D’altra parte, la sera prima – lunedì sera, cioè – ad Arcore si è consumata una cena molto tesa, che poi è finita in modo piuttosto burrascoso. Bossi, per la verità, non ci voleva nemmeno andare, è stato Calderoli a convincerlo per parlare di legge elettorale, ma poi è finita che s’è parlato d’altro. Molto altro. La verità è che Berlusconi voleva sondare, alla luce degli ultimi accadimenti in terra leghista (Tosi che vuole fare da solo, Bossi che gli impone di seguire la linea, Maroni sempre più in Aventino e il “cerchio magico” in evidente difficoltà con la base) quanto Bossi fosse ancora “padrone” del suo partito. Se, insomma, alla luce del divenire politico e della necessità di prendere decisioni sulle alleanze future, il Senatùr restasse l’interlocutore giusto. Solo che Bossi è partito all’attacco, non appena Berlusconi gli ha prospettato la necessità di trovare un accordo anche con il Pd sul fronte della legge elettorale.

“Se tratti con il Pd – ha ringhiato il Senatùr – faccio saltare tutte le giunte regionali e mi metto d’accordo io con loro, anche per far fuori le tue aziende…”. Minacce che il Cavaliere proprio non si aspettava e che gli hanno fatto capire chiaramente le difficoltà di Bossi dentro il partito e non solo. A quel punto la cena poteva dirsi conclusa, ma Berlusconi, è noto, non rompe mai con nessuno, figurarsi con Bossi. “Umberto, tu devi capire – ha esordito il Cavaliere – che se vogliamo che le riforme non ci danneggino dobbiamo essere noi i primi registi…”.

Non solo. Berlusconi ha chiarito a Bossi la sua tattica del momento, quella di mostrarsi uomo di alto profilo istituzionale per non vanificare “l’immagine che ho creato e il sacrificio che ho fatto facendo un passo indietro”. E questo, secondo Berlusconi, è un fatto di cui “Napolitano non può non tenere conto”, anche nell’ottica di nominare “dei nuovi senatori a vita”. Già – ragionava l’altra sera il Cavaliere ad alta voce – quello che “ho fatto per il Paese è sotto gli occhi di tutti, se non ci fossi stato io, nel ‘ 94 saremmo stati tutti in mano ai comunisti, invece ho garantito la formazione di uno schieramento moderato che ha salvato la democrazia in Italia… poi mi è stato chiesto di fare un passo indietro e io l’ho fatto per senso di responsabilità, ora mi propongo come regista delle riforme condivise… la carica di senatore a vita credo che sarebbe il giusto compenso”.

Perché, poi, “a Monti” è stato riconosciuto il merito di una carriera e a lui non dovrebbe essere fatto altrettanto? Però – ha spiegato Berlusconi a un sorpreso Bossi – perché Napolitano ci cominci a pensare sul serio ci vuole che nessuna forza politica primaria sia contraria alla nomina. È per questo, insomma, che oggi val la pena giocare sul tavolo del ruolo istituzionale. E se serve fare un accordo con il Pd per non avere “nessun nemico” che si metta di traverso con il Quirinale, allora che l’accordo si faccia.

Inutile dire che Bossi è andato su tutte le furie, stavolta spalleggiato da Calderoli che parlava chiaramente di “barricate” nel caso in cui il Pdl decidesse “di inoltrarsi lungo la strada dell’inciucio”. Neppure le parole di Angelino Alfano (“C’è troppo poco tempo per cambiare la legge elettorale, vedrete che non se ne farà niente…”) hanno calmato Bossi. Il Senatùr resta distante mentre il Cavaliere continua la sua strategia. Che se dovesse fallire la “salita al Quirinale”, come senatore a vita continuerebbe a tenere a bada i suoi interessi personali. E, soprattutto, a farla franca. I suoi lavorano per questo.

Il Fatto Quotidiano, 8 febbraio 2012

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