Un tavolo sulla mafia e sull’antimafia, su illegalità e riscatto sociale. O meglio, letteralmente, una tavola imbandita su un palcoscenico di teatro, tra taralli, mozzarelle, vino e miele prodotti nelle cooperative di Libera Terra, sui terreni confiscati alla mafia per effetto della legge 109 del 1996. Per raccontare una cultura della legalità che si alimenta, è proprio il caso di dirlo, anche delle scelte consapevoli compiute tra gli scaffali dei supermercati. Mafie in pentola, lo spettacolo di Tiziana Di Masi ed Andrea Guolo giunto al secondo anno di programmazione (una settantina le date fino ad ora collezionate) fa tappa al Teatro Verdi di Fiorenzuola d’Arda venerdì 10 febbraio. “Uno spettacolo nato” racconta l’attrice Tiziana Di Masi “con un intento insieme sperimentale e provocatorio, per far passare il messaggio che l’antimafia non può e non dev’essere solo appannaggio di magistrati e forze dell’ordine, ma diventare una quotidiana presa di posizione, da compiersi pure a tavola”. Lo spettacolo, finanziato in parte da Coop Adriatica, si arricchisce nel secondo anno di tournèe del sostegno di Coop Lombardia, che lo ha scelto a sostegno della campagna di raccolta fondi per una nuova cooperativa che sorgerà nei prossimi mesi nel trapanese, sui terreni confiscati al boss Matteo Messina Denaro.

Da dove nasce l’idea di raccontare le mafie attraverso il cibo?

Il progetto è nato da un lungo lavoro di ricerca condotto da me e Andrea Guolo: per mesi abbiamo viaggiato tra Sicilia, Puglia, Campania, Calabria e Piemonte raccogliendo le testimonianze dei lavoratori delle cooperative sorte sui terreni confiscati alle mafie. C’è stato poi il prezioso apporto di Don Ciotti: quando gli esposi il mio progetto mi disse che avrei dovuto costruire lo spettacolo su due concetti fondamentali, lavoro e libertà, strettamente connessi tra loro nelle realtà cooperative di Libera Terra. Nessuno avrebbe mai osato pensare che su queste terre, da Locri a Castelvolturno a Casal di Principe, sarebbero potute sorgere realtà produttive svincolate dal controllo delle organizzazioni criminali. Per questo il cibo diventa segno tangibile di una sfida vinta, con tutto il sapore di una possibile rinascita di quelle terre avvelenate.

Avete portato “Mafie in pentola” per tutta la penisola. Quali sono state le reazioni del pubblico da nord a sud?

L’atteggiamento è profondamente divergente: il pubblico del nord si mostra attento ad un fenomeno che solo ora si inizia a scoprire nella sua struttura e funzionamento, quello del sud varia dall’adesione entusiastica al rifiuto, alla volontà di rimozione, ad un’ostentata indifferenza, dato che in quel caso si parla di argomenti che toccano da vicino le vite di ciascuno. Così in alcuni casi è capitato ad esempio che le istituzioni invitate si defilassero, facendo pesare la loro assenza come segno di basso gradimento. In altri casi abbiamo subito avvertimenti più concreti: nel corso di uno spettacolo a San Pietro Vernotico, in provincia di Brindisi, paese di Cosimo Antonino Screti, uno dei fondatori della Sacra Corona Unita, mi furono lanciati sul palco dei mattoni. A Cirò Marina abbiamo passato una settimana a riattaccare i manifesti dello spettacolo che venivano rimossi. In entrambi i casi però le intimidazioni hanno sortito un effetto più che positivo, data la massiccia presenza del pubblico. Abbiamo sperimentato che nei luoghi maggiormente infestati dalla presenza delle mafie nasce anche il meglio, con un’antimafia sociale radicatissima e persone straordinarie che si spendono per poter fare qualcosa per la loro terra.

Non che da noi il problema mafie sia meno lontano. Magari in forme meno eclatanti, meno visibili ad occhio nudo, ma non per questo meno invasive.

Infatti le nuove tappe dello spettacolo, prevalentemente in Lombardia e nel nord Italia, offrono l’opportunità di riflettere sulla presenza della criminalità organizzata al nord. Per ogni spettacolo racconterò un fatto di mafia legato al luogo nel quale si svolgerà lo spettacolo. E devo dire che fino ad ora non mi è mancato materiale. A Fiorenzuola ad esempio il 30 gennaio 2007 venne arrestato uno dei più noti pregiudicati della mafia del nord barese, Riccardo Sgaravella. D’altra parte è nota la presenza sul territorio emiliano romagnolo di casalesi e ‘ndranghetisti. Nella stessa Bologna venne arrestato nel 2009 Vincenzo Barbieri, della famiglia ‘ndranghetista dei Mancuso. Golden Jail era il nome dell’operazione: lo arrestarono all’hotel  Baglioni, nella sua suite vennero trovati più di 100mila euro in contanti. A San Giovanni in Persiceto, dove il 13 e 14 febbraio faremo due date per le scuole, viveva Nerio Marchesini, commercialista dello stesso clan Mancuso. E’ inquietante scoprire  quanti siano gli episodi di questo genere, quanto sia radicata la presenza criminale sul nostro territorio. Lo spettacolo ha l’ambizione di informare le persone su fatti che spesso passano in sordina anche sulla stampa. Non è un caso che quest’anno la giornata della memoria per le vittime di mafia si terrà a Genova, in quella Liguria che ha visto lo scioglimento per mafia dei consigli comunali di Bordighera e Ventimiglia. La nuova criminalità non è guidata più da boss analfabeti, ma da rispettabili professionisti e imprenditori in grisaglia. Riuscire a portarla alla luce tra un boccone di mozzarella ed un bicchiere di vino nato sulle terre liberate dall’illegalità è lo scopo che continuo a perseguire.

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