Una volta si faceva, ma non si diceva. “Il mi manda papà” di oggi, invece, è diverso: c’è un che di supponente e castale nel nepotismo del Terzo millennio. Da Bettino Craxi a Ciriaco De Mita ad Arnaldo Forlani, ai loro tempi capi di governo, ministri, politici, imprenditori, baroni delle università favorivano in tutti i modi i parenti. Ma si ingegnavano di tenerlo nascosto, camuffandolo con un’ipocrisia che, a ben vedere, faceva scorgere sullo sfondo anche qualcosa di buono. “Se lo meritano – dicevano – volete discriminarli solo perché figli e parenti di noi potenti?”. Nascondeva quel camuffa-mento la consapevolezza che non si sarebbe dovuto fare, che mettere il sangue e la parentela davanti a tutto e a scapito della competenza e del merito era uno schiaffo alla democrazia.
ANCHE oggi come allora il “mi manda papà” imperversa ovunque. Il nepotismo e la raccomandazione familiare rimangono pratiche costanti della nostra vita quotidiana e il “familismo amorale” un sistema che continua a differenziarci dal resto d’Europa, essendo riuscito a trasmigrare dalla Prima alla Seconda Repubblica e ora al governo dei tecnici. Basta guardarsi intorno o grattare un po ’ la superficie e si trovano in tutti i campi casi clamorosi di dinastie e carriere con il turbo familiare. I ministri tecnici non fanno eccezione, a cominciare dalla loquace e decisionista Elsa Fornero per arrivare allo sbadato Michel Martone. Con un di più e peggio come contorno: fino a venti, trenta anni fa, anche grazie a condizioni economiche meno cupe di quelle odierne, un certo ricambio sociale era garantito e il figlio di un operaio o di un impiegato poteva, impegnandosi, sperare di entrare a far parte della classe dirigente, con un futuro migliore di quello di papà. Oggi, come ripetono i sociologi, si è bloccato l’ascensore sociale e i figli dei farmacisti faranno i farmacisti, idem i notai, i professori universitari, gli ingegneri, gli architetti per non parlare degli imprenditori. E i figli della gente comune resteranno figli della gente comune.
LA DIVERSITÀ rispetto a un tempo sta nel fatto che chi partecipa da posti di comando alla nuova edizione della fiera familiare sembra guardare al fenomeno con una specie di strabismo. Quando è praticato dall’alto viene quasi dato per scontato, un dato di fatto, una faccenda di cui né inorgoglirsi né vergognarsi. Quando, invece, la volontà di conservare e se possibile trasmettere a figli e nipoti una qualche sicurezza economica e sociale, anche modesta, riguarda la gente comune, allora è rimproverata come un vizio, un pericolo per una società che deve adattarsi alla flessibilità e al dinamismo.
NON SI SPIEGANO altrimenti le spensierate sortite alla Michel Martone che neanche si accorge di offendere i giovani dicendo che chi non è laureato a 28 anni è uno sfigato, tralasciando di aver beneficiato lui di una carriera dorata, da figlio di papà. O le rampogne con il ditino alzato della Fornero contro il posto fisso, dimentica della singolare circostanza che sua figlia è in carriera nell’ateneo dove insegna lei stessa e pure il marito. O gli ammonimenti contro la monotonia sempre del posto fisso del capo del governo, tecnico preparatissimo, nipote di quel Raffaele Mattioli che fu il banchiere dei banchieri, e padre di Giovanni che ne ricalca le orme di esperto in finanza. O lo sberleffo della responsabile dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, verso i ragazzi bamboccioni che pretenderebbero il lavoro non lontano dalle gonne di mammà. C’è una sorta di arroganza professorale in queste sortite, di chi è abituato a guardare la società attraverso le tabelle dei libri senza spesso riuscire a vedere dietro i numeri la gente in carne ed ossa. E c’è anche una specie di superficialità classista e di ignoranza della realtà medesima in quelle rampogne. Ormai arrivato il welfare italiano al lumicino causa crisi economica e un debito pubblico da incubo, è il privatissimo welfare familiare di padri, mamme e nonni a impedire ai giovani senza lavoro di morire di fame. Il familismo amorale che un tempo era davvero uno dei caratteri non migliori del nostro paese, oggi spesso si è trasformato in qualcosa di diverso, quasi uno stato di necessità, purtroppo. Invece il “mi manda papà” di chi sta nella parte alta della piramide sociale continua a essere un lusso e uno schiaffo alla democrazia. Negazione proprio di quel merito di cui il governo dei professori si è proclamato paladino.