“No alla privatizzazione della Rai”. A dirlo è l’anima stessa del mercato, la pubblicità. È infatti questa la conclusione che Lorenzo Sassoli de Bianchi, presidente dell’Associazione delle imprese che investono in pubblicità (Upa), ha tratto da un’indagine sul futuro della televisione pubblica. “La Rai è attualmente indifendibile”, ha detto Sassoli, “ma consegnarla a un privato o a cordate tipo Alitalia non è una soluzione”. Ecco allora le proposte dell’Upa, che propone tra l’altro di lasciare una rete Rai senza pubblicità. “Ma bisogna fare in fretta”, spiega Sassoli, che ha già chiesto un incontro con il premier Mario Monti.

Secondo il venti per cento degli intervistati per la Rai non c’è speranza. È uno dei dati che emerge dall’indagine che Astra Ricerche ha elaborato per l’Upa. Più di duecento tra stakeholder, investitori, consulenti ed esperti in comunicazione hanno detto la loro sull’emittente pubblica, e il quadro è desolante. La Rai ne esce come una realtà mal gestita, asservita alla politica, priva di strategia e ingovernabile. Insomma, prima di tutto gli italiani vogliano i partiti fuori dalla Rai. Solo allora, sostengono i tre quarti del campione d’indagine, si potrà operare una seria rifondazione del servizio pubblico. Sì, servizio pubblico. Perché nonostante tutto il 70% degli intervistati è contrario alla privatizzazione. “Ma le responsabilità devono diventare individuali”, spiega Enrico Finzi di Astra Ricerche, “questo chiedono gli utenti. Una Rai pubblica a gestione privatistica”.

Parte da queste considerazioni la proposta di riforma degli investitori dell’Upa, che spendono un miliardo di euro l’anno in pubblicità sulle reti Rai. “Un servizio pubblico è una garanzia democratica”, sottolinea Lorenzo Sassoli, “ma la gestione finanziaria e la produzione devono essere separate”. L’Upa propone infatti che la proprietà della Rai venga conferita a una Fondazione, con uno statuto che rifletta l’attuale contratto di servizio. “E una rete generalista dovrà essere priva di pubblicità”, aggiunge il presidente dell’Upa, “con l’obiettivo di perseguire la sperimentazione e la qualità”. Una scelta che secondo l’Upa aiuterebbe a giustificare il canone, tassa che conta 16 milioni di abbonati a fronte di 22 milioni di famiglie.

Una scommessa, questa della riforma Rai, che il governo Monti non ha ancora scelto di raccogliere. “Ho chiesto al premier un incontro per illustrare la nostra proposta”, racconta Sassoli. Ma il centrodestra non sembra intenzionato a concedere all’esecutivo l’occasione di mettere mano in Rai. “Non c’è tempo da perdere”, commenta Sassoli, “perché già entro l’anno i conti della Rai potrebbero non essere più sostenibili”.

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