Il bullismo cambia volto e si trasferisce in rete. Con la diffusione e lo sviluppo delle nuove tecnologie le molestie online stanno lentamente prendendo il posto di quelle tradizionali: mail minacciose, insulti via Facebook, video e foto offensivi non autorizzati e diffusi su internet. Si chiama cyberbullismo ed è l’evoluzione 2.0 delle classiche prepotenze adolescenziali. Un fenomeno in crescita, a cui è stato dedicato un convegno (terminato giovedì 9) all’Università di Bologna, aperto a studiosi, insegnanti, educatori e a genitori.

L’appuntamento è stato inserito nel progetto europeo “Cyberbullying in Adolescence: investigation and intervention in six European countries”, coordinato dalle ricercatrici del dipartimento di psicologia dell’Alma mater Maria Luisa Genta, Antonella Brighi e Annalisa Guarini e nato con l’obiettivo di studiare le caratteristiche e la diffusione del cyberbullismo in Europa (in Italia, in Emilia Romagna e Calabria, Spagna, Inghilterra, Grecia, Germania e Polonia) tra gli adolescenti delle scuole secondarie di secondo grado. In ogni paese sono stati raccolti dati su circa mille adolescenti, con un comune questionario anonimo somministrato agli studenti.

Rispetto al bullismo tradizionale, quello cyber mette in pratica lo stesso tipo di prepotenza e comportamento aggressivo, ottenendo però effetti maggiori, grazie allo sfruttamento di computer e cellulari. Un solo episodio, ad esempio, divulgato a migliaia di spettatori attraverso siti come YouTube, può portare parecchi danni alla vittima, anche se non viene ripetuto nel tempo. Un video o un post su un blog è sempre disponibile, può essere visto da migliaia di persone in tempi diversi, e, soprattutto, è difficile da cancellare definitivamente.

Inoltre, i mezzi elettronici non hanno bisogno di forza fisica: anche una sola persona, nel chiuso della propria stanza e senza particolari doti fisiche, può fare atti di cyberbullismo su un numero illimitato di vittime. Sono sufficienti poche operazioni telematiche, da compiere anche con false identità. La rete, infatti, non prevedendo una relazione faccia a faccia, permette ai bulli di spacciarsi per altre persone o di rimanere nell’anonimato e, quindi, di restare impuniti. Così come gli spettatori o i complici, che spesso non conoscono nemmeno la vittima.

Non sempre chi è bullo nel mondo virtuale lo è anche in quello reale. La rete infatti dà l’opportunità di crearsi delle personalità fittizie, di mostrarsi al società del web come forte e prepotente, anche se fuori dagli schermi è timido e debole. Per questo, a volte, le vittime dei bulli tradizionali una volta tornati a casa si possono trasformare a loro volta in cyberbulli.

Un primo studio sul fenomeno era già stato condotto dallo stesso gruppo di ricercatori nel 2007, in alcune scuole secondarie di primo e secondo grado della provincia di Ferrara, Forlì, e Bologna, raccogliendo tra i ragazzi circa 2000 questionari anonimi. Rispetto ad allora è aumentata la dimestichezza con le nuove tecnologie (dopo tre anni la percentuale dei ragazzi che dichiara di avere una connessione a casa è passata dal 83% al 95%), e parallelamente è salito anche il numero di chi si definisce vittima di bullismo online, passando dal 7 al 9%.

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