“Non si può nominare presidente del Consiglio un vile affarista che è stato socio della Goldman Sachs“. Le parole che Francesco Cossiga pronunciò nel 2008 non hanno impedito a Mario Draghi, già vicepresidente della banca americana, di diventare presidente della Banca centrale europea. Era dunque così ingeneroso l’ex presidente della Repubblica nei confronti dell’allora governatore della Banca d’Italia? Questo probabilmente lo decideranno i posteri, di certo lo champagne sta scorrendo a fiumi nelle sale cambi delle banche che nei primi 100 giorni di mandato di Ma-rio Draghi alla Bce (si è insediato a inizio novembre) hanno ricevuto più regali che nei 10 anni precedenti. L’asse con Ignazio Visco (ora governatore della Banca d’Italia) e il premier Mario Monti ha partorito l’articolo 8 del decreto “salva Italia” che consente alle banche di ottenere una fideiussione dallo Stato italiano a un costo risibile per poi poter ottenere finanziamenti dalla Bce, il denaro così veicolato nelle casse dei gruppi bancari consente agli stessi di realizzare delle enormi plusvalenze attraverso il riacquisto di titoli emessi precedentemente sul mercato a tassi superiori, si calcola che il solo Banco Popolare abbia realizzato una plusvalenza di 500 milioni di euro con questa operazione. La Bce ha obbligato le banche a erogare prestiti a imprese e famiglie? A sostenere l’economia reale? No, i soldi servono solo a creare un circuito di carta e di differenze contabili che generano profitti, lauti compensi e bonus agli amministratori.
In parallelo la Bce ha triplicato la dimensione del proprio bilancio nei 100 giorni della nuova gestione arrivando all’astronomica cifra di 2. 750 miliardi di euro contro i 2. 200 miliardi della Federal Reserve americana. Questo vuol dire che mentre in America la politica monetaria ha tenuto sotto controllo il tasso dei titoli di Stato attraverso l’acquisto degli stessi e le banche per realizzare profitti sono costrette a investire anche nell’economia reale, la politica moneta-ria della Bce è consistita in accettare in garanzia dagli istituti di credito ogni schifezza finanziaria pur di garantire la loro sopravvivenza e la loro profittabilità. La speranza è che i regali fatti si tramutino successivamente in finanziamento agli investimenti e sostegno ai consumi. Ma di questo secondo passaggio, almeno per ora, non c’è traccia.
Mario Draghi conserva tracce del suo passato nel settore della finanza, a Goldman: l’economia di carta costruita e stimolata dalla famosa banca d’affari ai danni dei cittadini di mezzo mondo non paga dazio con questa nuova gestione dell’autorità monetaria. Anzi ne viene esaltata la filosofia di fondo: le banche non devono mai pagare il conto. La stessa filosofia che secondo l’ex ministro Giulio Tre-monti (lo dice nel suo ultimo libro) è stata usata quando Draghi è stato presidente dell’organismo di coordinamento internazionale Financial Stability Board che “ha funzionato da cavallo di Troia, fabbricato dalla finanza per entrare nella politica e batterla sul suo stesso campo”. Una disfatta che è costata la caduta dei governi di Grecia, Portogallo, Spagna, Irlanda e Italia. Un’ecatombe che ha lasciato i cittadini orfani della possibilità di scegliere fra politiche economiche e sociali alternative, relegandoli nel ruolo di spettatori passivi alle missive, ai diktat e alle minacce che arrivano da Berlino con l’avallo della Bce.
Lascerà Mario Draghi un’Europa migliore di quella che ha trovato? La sua politica di sovvenzione illimitata agli istituti di credito e le sue ricette di politica economica che implicano flessibilità estrema del lavoro e di taglio della spesa pubblica a tutti i costi funzioneranno? È troppo presto per dirlo, l’onda di liquidità che si è riversata sul sistema finanziario ha anestetizzato gli spread e con essi il dibattito sulle scelte compiute, ma in questa crisi abbiamo imparato che tutti i tentativi fatti di limitare artificialmente la volatilità dei mercati, attraverso l’ingegneria finanziaria, non sono durati a lungo. Poche settimane fa, lo stesso Draghi aveva detto “siamo sulla strada giusta, la Grecia rimarrà un caso unico”, e poco dopo il Portogallo si è affacciato sul baratro della ristrutturazione del debito. Saremo pronti a ricrederci, se la ricetta dell’economista romano si dimostrerà quella giusta. Se così non fosse, però, Draghi difficilmente potrà nascondersi dietro governi fantoccio che eseguono pedissequamente le sue “raccomandazioni”. Il timone dell’economia europea è saldamente in mano a Mario Draghi, a lui i meriti, a lui le colpe.
Il Fatto Quotidiano, 9 Febbraio 2012