Berlino – Un’uscita della Grecia dall’Eurozona avrebbe conseguenze incalcolabili, ripete senza sosta Angela Merkel. A Berlino, però, c’è già chi ha iniziato a fare i primi calcoli. Ed è arrivato alla conclusione che, dopo tutto, il conto di un default di Atene non sarebbe poi troppo salato: l’Eurozona potrebbe reggere un fallimento della Grecia, «noi saremmo preparati», ha spiegato il capogruppo dei liberali al Bundestag Rainer Brüderle. Il “noi”, beninteso, si riferisce alla Germania. «Non posso tacere – ha chiarito Brüderle – che abbiamo un estintore in cantina». L’estintore si chiama Soffin ed è il fondo salva-banche che il parlamento tedesco ha riattivato preventivamente a fine gennaio. Non lo utilizzerà nessun istituto federale, aveva assicurato allora il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble. Ma non si sa mai.
Le parole di Brüderle rispecchiano certo i malumori di un partito che, per primo, in Germania, aveva tirato in ballo l’ipotesi di un’insolvenza controllata della Grecia. E che è pronto a staccare la spina, se Atene non rispetterà le condizioni della troika composta da Commissione europea, Bce e Fondo monetario. Ma dimostrano anche che il governo tedesco inizia a perdere seriamente la pazienza con la Grecia.
La linea ufficiale della maggioranza l’ha riassunta il cristiano-democratico Schäuble in un editoriale scritto per il settimanale Die Zeit. “I nostri aiuti non esonerano i Paesi dell’Eurozona che necessitano di riforme dal prendere le misure necessarie per rafforzare la loro competitività e affrontare il problema sostanziale dell’eccessivo indebitamento”. La Germania tenta con tutte le forze di rendere più agevole ad Atene il necessario processo di ristrutturazione del suo sistema economico. Tuttavia “è la Grecia a dover trovare la volontà politica per approvare le necessarie riforme”. Parole che rispolverano la classica dottrina di Frau Merkel, che si riassume tutta in un motto: “Hilfe zur Selbsthilfe”, gli aiuti vanno concessi solo a chi dimostra concretamente di voler voltare pagina. Un messaggio rivolto anche all’opinione pubblica interna. Dopo tutto i quotidiani tedeschi hanno iniziato a farsi due conti. E hanno scoperto che la ristrutturazione del debito greco attualmente in discussione costerebbe ai contribuenti federali qualcosa come 25 miliardi di euro, riassume la Welt. Oppure che un fallimento di Atene – per quanto “sostenibile”, come lo definisce Brüderle – non sarà certo gratuito, bensì peserebbe per 38 miliardi di euro sulla Germania, una somma che supera le capitalizzazioni di ThyssenKrupp, Commerzbank e Adidas messe insieme. Fanno 475 euro per ogni cittadino federale, riporta l’Handelsblatt.
In caso di accordo ad Atene, comunque, il Bundestag è pronto a riunirsi in seduta straordinaria già la prossima settimana – forse martedì o mercoledì – per dare il via libera al piano da 130 miliardi di aiuti. E a Berlino ripartirà il giro di telefonate dietro le quinte per convincere i deputati più scettici a votare sì e centrare in tal modo “la maggioranza del cancelliere”, cioè la soglia simbolica dei 311 voti favorevoli. I mal di pancia non mancano, non solo nelle file dei liberali della Fdp, ma anche nella Csu, la formazione bavarese gemella della Cdu di Angela Merkel, e tra gli stessi compagni di partito della cancelliera. In ogni caso il sì del Bundestag appare scontato: l’opposizione socialdemocratica e Verde si avvia a votare a favore.
Se dipendesse dalla Spd, bisognerebbe andare oltre: per la Grecia servirebbe una “Treuhand“, un’amministrazione fiduciaria sul modello di quella creata nel 1990 per privatizzare le aziende della Germania dell’Est, ha suggerito l’ex ministro degli Esteri e capogruppo al Bundestag Frank-Walter Steinmeier. La proposta ha almeno tre difetti: è stata già avanzata senza successo diverso tempo fa, dà per scontato che la Treuhand sia stata un modello di successo e rafforza l’impressione che la Germania voglia dettare la linea agli altri Paesi. Una strada destinata al fallimento, come dimostra l’idea tedesca di commissariare la Grecia.